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Otto anni nei quali la partita
della democrazia è stata giocata con un arbitro parziale come non avveniva dai
tempi di Oscar Luigi Scalfaro
Alessandro
Sallusti - Questa sera il presidente
Napolitano - salvo colpi di scena - dovrebbe annunciare ufficialmente le sue
dimissioni, che probabilmente saranno operative da metà gennaio. Si apre quindi la corsa per il nuovo
inquilino del Colle, ma soprattutto si chiude una delle pagine più buie della
politica italiana. Otto anni nei quali la partita della democrazia è stata
giocata con un arbitro parziale come non avveniva dai tempi di Oscar Luigi
Scalfaro. L'uomo in più della sinistra ce l'ha messa davvero tutta per
contrastare prima e ribaltare poi la volontà popolare che aveva indicato nel
centrodestra e in Silvio Berlusconi la guida del Paese. Il rispetto che si deve
ai suoi non pochi anni non può fare da scudo a una presidenza dissennata e
tristemente conclusa con i pm che hanno varcato per la prima volta nella storia
della Repubblica il portone del Quirinale per interrogare la più alta carica
sulla presunta trattativa tra Stato e mafia. E dire che per anni proprio lui,
capo anche del Csm, lasciò mano libera alla magistratura nella sfrontata caccia
al leader della maggioranza, ignorando gli abusi e i soprusi messi in atto
dalle procure di mezza Italia.
Giorgio Napolitano, che da giovane strinse entusiasta le mani al
carnefice Stalin, che da giovanotto
benedì l'invasione sovietica dell'Ungheria, che da adulto e presidente della
Camera spalancò le porte del Parlamento ai pm
di Tangentopoli a caccia di politici,
non ha mai pagato per i suoi errori ed orrori. I compagni lo hanno anzi
ripagato con l'elezione al supremo soglio e lui, negli anni, ha ricambiato con
gli interessi. Arrivando a negare per ben tre volte di seguito il ricorso alle
urne pur di garantire alla sinistra la guida del Paese, cosa che non sarebbe
mai potuta avvenire per via elettorale. I governi di Monti, Letta e Renzi sono
infatti figli di intrighi nazionali e internazionali di cui Napolitano è