FIGURE COME BERLINGUER O CRAXI O I
“CAVALLI DI RAZZA” DELLA DC AVEVANO UNO SPESSORE E UN FIUTO MAI PIU’ EGUAGLIATO.
Questa storia dei partiti "personali" o
"carismatici" ogni tanto evocata come un'attenuante o causa della
crisi delle formazioni politiche nate e cresciute nella cosiddetta seconda
Repubblica, e persino del loro cattivo rapporto con il danaro, è sempre meno
convincente. Almeno agli occhi di chi ha conosciuto, seguito e raccontato anche
la cosiddetta prima Repubblica e i partiti che la contrassegnarono. Silvio
Berlusconi, Umberto Bossi, il suo aspirante erede Roberto Maroni, Pier
Ferdinando Casini, Gianfranco Fini, Antonio Di Pietro, sotto certi versi pure Massimo
D'Alema e Pier Luigi Bersani, con i quali si identificano i rispettivi partiti,
avevano i calzoni corti, o dovevano ancora nascere, e già esistevano in Italia
forze politiche a conduzione personale e carismatica. I cui congressi si
svolgevano con maggiore frequenza di adesso, con avvicendamenti di comitati
centrali, consigli nazionali, direzioni, uffici esecutivi, segreterie e
quant'altro, ma le cui redini rimanevano pur sempre in poche, solidissime
mani.Alla guida del Partito Comunista, per esempio, i segretari cambiavano solo
quando ne sopraggiungevano la morte o l'invalidità fisica. Accadde con Palmiro
Togliatti, Luigi Longo, Enrico Berlinguer e Alessandro Natta, prima che
cominciasse con Achille Occhetto, e le edizioni successive al Pci, la serie di
quelli che l'immaginifico, indimenticabile Francesco Cossiga definiva
"zombi". Il Partito Socialista, nel bene e nel male, visse e contò
nel secondo dopoguerra sino a quando camminò sulle gambe
di Pietro Nenni prima e di Bettino Craxi poi, avendo
gli altri segretari gestito solo periodi di più o meno lunga transizione
politica, compreso il buon Giacomo Mancini, che non mancò certo di carattere.
Il Partito Socialdemocratico nacque per volontà di Giuseppe Saragat e visse
delle sue direttive, sino a quando egli ebbe la forza di darle. Il Partito
Repubblicano teneva le riunioni di direzione e persino i congressi nella testa
di Ugo La Malfa, capace di deporre anche i probiviri quando disattendevano le
sue attese. Il Movimento Sociale si lasciò guidare come una scolaresca da
Giorgio Almirante, sino ad accettarne la designazione di Fini come successore.
La stessa Democrazia Cristiana, contrassegnata più di tutti gli altri partiti
da un grande avvicendamento di segretari e presidenti del Consiglio dei
Ministri, non sarebbe diventata con la vittoria elettorale del 18 aprile 1948
il cardine politico della Repubblica se non si fosse fatta guidare con mano
ferma, e non solo con mente lucida, da Alcide De Gasperi. Del quale certo
riuscì poi a fare a meno, ma solo passando da una leadership singolare ad una
plurale, intesa come federazione di correnti ciascuna delle quali guidata, e
spesso fondata, da personalità di forza indiscussa. Il mio amico Carlo
Donat-Cattin coniò non a torto per la sua Dc l'immagine di una scuderia
scorgendovi solo due "cavalli di razza", che erano Amintore Fanfani
ed Aldo Moro. E declassando tutti gli altri, compreso se stesso, a ronzini o
quasi. Che non seppero in effetti andare molto lontano, o resistere più di
tanto ai ritmi della corsa politica quando il naturale declino fisico di
Fanfani e la tragica morte di Moro, assassinato nel 1978 dalle brigate rosse,
li lasciarono soli.La Dc, certo, continuò a vivere per quasi quindici anni, ma
di luce più riflessa che propria, con l'aiuto soprattutto di Craxi, odiato
anche per questo dai comunisti, che avevano cercato di circuirla con il
compromesso storico. E, caduto Craxi, assediato dagli avversari, laici e
togati, ma anche dai suoi errori di gestione politica, a cominciare dalla
partecipazione al finanziamento illegale dei partiti, cadde anche lo scudo
crociato. I partiti "personali" o "carismatici" non sono
quindi nati con la cosiddetta seconda Repubblica. E i loro difetti, la loro
crescente distanza dagli elettori, persino il loro approccio scomposto alla
questione morale riesplosa anche con la gestione dei rimborsi elettorali, non
derivano dalla loro natura appunto personale o carismatica. Deriva
dall'abissale differenza tra i leader di una volta e quelli di ora. Il
confronto fra gli uni e gli altri non regge. E se c'è uno che un po' si salva,
per la capacità dimostrata di sapere interpretare gli elettori, pur con tutti i
suoi indubitabili errori, alcuni addirittura imperdonabili, è Berlusconi.
Checché ne dicano i suoi vecchi e recenti avversari.
Francesco Damato
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