giovedì 29 dicembre 2016

LEGA-5 STELLE: E’ NATO IL NAZARENO POPULISTA


C’è un aspetto politicamente assai rilevante nella vicenda della sfiducia individuale al ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che nelle analisi e nei commenti ancora non ha trovato adeguata attenzione. Eppure si trattasi un elemento che squaderna scorci significativi per il prosieguo della legislatura e soprattutto per gli schieramenti che si confronteranno nella campagna elettorale delle elezioni politiche. Per comprenderne la portata occorre guardare ai sottoscrittori della mozione e a chi vi si oppone. Da un lato, infatti, ci sono Cinquestelle, Lega e Sinistra Italiana; dall’altra il Pd e gli alleati di governo ( ma ormai senza Verdini) con la necessaria sottolineatura che, almeno finora, né Gentiloni né Matteo Renzi si sono espressi sulla questione, sia per difendere il ministro che per prenderne le distanze. Al contrario, c’è stato un documento dei giovani piddini di censura di Poletti e, per ultimo, la minaccia di Roberto Speranza della sinistra dem con richiesta di modificare i voucher e il Jobs act pena il voto favorevole sulla sfiducia. Forza Italia non ha preso posizione, pur se le aperture di credito di Berlusconi al nuovo presidente del Consiglio non sono certo passate inosservate e sono spia di un atteggiamento benevolo che sarà interessante vedere come si tradurrà nel voto d’aula dove non ci sono scappatoie: neppure quelle garantite dall’astensione visto che a palazzo Madama l’astensione equivale ad un voto contrario. Questa è la fotografia delle forze in campo. L’errore più grande sarebbe considerarla una foto statica: al contrario è il panning, un’istantanea in movimento, il time lapse di una evoluzione. Il dato vero, infatti, è che quando si arriverà al voto, nel catino del Senato si sfideranno le due possibili alleanze che, almeno in nuce, saranno in grado di governare l’Italia. Da un lato, l’intesa, ancora tutta da costruire e tuttavia assai meno inverosimile che in passato, tra i grillini e la Lega. Un’intesa anti- sistema, che trova punti di contatto


definiti e quasi fisiologici: basta pensare all’ultima uscita sugli immigrati postata da Beppe Grillo dopo r lRappresentazione iperbolica, certo. Ma non così lontana dalla realtà. Prendiamo il binomio Cinquestelle- Lega. Il no agli immigrati è ok, anche se sull’abolizione del reato di immigrazione clandestina il web grillino a suo tempo inalberò un semaforo rosso fisso. E quel No fa il paio con l’altro appena pronunciato sulle riforme costituzionali renziane. Ma poi se dal No si passa ai necessari sì, il panorama muta e grossissimi nuvoloni fanno capolino. A cominciare dalla riforma elettorale da vergare a tamburo battente sulla quale Carroccio e grillini mostrano distanze quasi abissali. Nè molto meglio vanno le cose dall’altra parte. Si fa presto a dire Nazareno bis: sicuri che tutti dentro il Pd e FI sono d’accordo? Non pare proprio. Una volta che il vassoio s’è rotto, come è accaduto sull’elezione di Mattarella al Quirinale, rimettere insieme i cocci non viene mai bene. Senza contare che anche qui passare dai No ai Sì è molto complicato. Intanto perché No e Sì sono stati il discrimine della divaricazione del 4 dicembre: cicatrici complicate da suturare. E poi perché governare richiede sintonie assai più forti e solide di una manciata di strizzatine d’occhio buttate là a beneficio dei taccuini dei cronisti sorseggiando spremute nei ricevimenti. Un discorso a parte poi merita la sinistra bersaniana. Davvero al momento del voto si schiererà assieme a leghisti e grillini, fiancheggiando la possibile coalizione degli anti- sistema? Oppure, al contrario, è verosimile rientri nei ranghi sostenendo un ministro espressione di scelte politiche e sociali che vogliono cancellare? Bell’imbuto, non c’è che dire. In mezzo a questo mare in tempesta ci sta Paolo Gentiloni e il suo governo, alle prese con un incastro che è peggio del cubo di Rubik. Anche se in verità una soluzione ci sarebbe. Se infatti Poletti, dopo tre anni passati al ministero, facesse un passo indietro e tornare alle sue amate Coop, il problema evaporerebbe come rugiada mattutina. Ma chi può davvero convincerlo a recedere? E soprattutto: a chi converrebbe di più farlo? Al premier di adesso che ha il supporto del Colle, il quale di andare ad elezioni subito non ne vuol sentir parlare, o quello di prima che non vede l’ora di sentire il gong di una nuova campagna elettorale?

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