APRILE 2016, esattamente
due mesi fa prima del referendum sulla Brexit, il presidente degli Stati Uniti Obama
vola in Gran Bretagna esi getta apertamente nell'agone referendario: «L Unione
europea non sminuisce l'influenza britannica, ma l'amplifica». E via di questo
passo: appoggio deciso ai supporter del no-Brexit. Al pari di Obama, dalle
vecchie colonie oltre Atlantico erano piovuti consigli, spinte, minacce agli
inglesi nel caso avessero lasciato la Ue. Banche d'affari giuravano che
avrebbero detto bye bye a Londra, ci fu persino una di loro che linciò nell'intranet
aziendale la canzone dei Clash «Should I stay or should I go», per spingere
ovviamente sulla prima parte della strofa: dovrei restare. Insomma, l amico
americano non si era tirato indietro. Come sia finita, poi si è visto. La gravosa
macchina da guerra per il «remain» è affondata nell'Atlantico. ORA ci risiamo. ambasciatore
Usa minaccia di tagliare gli investimenti a stelle e strisce in Italia in caso
di vittoria del No. E questo dopo che i giornali economici internazionali hanno
definito il referendum sulla riforma costituzionale più importante della Brexit
per la stabilità europea. Sicuramente l’Italia è un osservato speciale, il
cammino delle riforme che sta cercando di rimettere in piedi il Paese è lento,
faticoso, incerto, ma proprio per questo ci vuole sangue freddo e rispetto per
la maturità degli italiani. La drammatizzazione dell'esito del referendum - soprattutto
se arriva dall’ estero - ma fa bene soprattutto a chi sta con il Sì in piena
libertà di coscienza. Dipingere il referendum come fosse l’ora delle decisioni
irrevocabili rischia di trasformare l'endorsment in un doloroso boomerang. Stay
calmo e lasciaci votare, America.
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