martedì 19 giugno 2012

VIVA IL PARROCO


                                         
di Marco Pastonesi E’ morto il parroco. Lo chiamavano così, “e’ paruch”, il parroco, da quando nel Giro d’Italia 1940 (il primo vinto da Coppi, partito come gregario di Bartali) Eberardo Pavesi, ds della Legnano, per riconoscere più facilmente i suoi corridori in corsa, gli aveva assegnato un berretto nero. Si sarebbe riconosciuto comunque, perché era piccolo, commovente e irriducibile, perché era scalatore, perché amava il caldo e anche il pavé, e perché in volata era fermo. Se fossero stati in fuga in cinque lui sarebbe arrivato sesto. Aldo Ronconi nasce – povero – a Santa Lucia delle Spianate di Brisighella (Ravenna) il 20 settembre 1918. Padre, cantoniere comunale, mamma, morta troppo presto, e tre figli. A 17 anni comincia a correre, a 18 passa dilettante, a 19 conquista la Coppa Perugina che gli cambia la vita: con le 2 mila lire del premio allaccia l’elettricità a casa, compra i materassi di lana e una macchina per cucire per la sorella. E a 21 è già professionista, alla Legnano, con il berretto nero da parroco. Ronconi – ma con quel fisico lì sarebbe stato più adatto chiamarsi Ronchini – prigioniero di guerra in Austria. Ronconi raccomandato alla Benotto dal concittadino Vito Ortelli. Ronconi collezionista di piazzamenti: terzo nella Chieti-Napoli, primo nella Bassano del Grappa-Trento e quinto nella generale al Giro 1946, campione d’Italia 1946 vincendo il Giro di Toscana con una fuga di 70 chilometri, secondo al Giro di Piemonte 1947, terzo al Giro di Romagna 1947, primo nella Bruxelles-Lussemburgo (314 chilometri, di cui 120 in fuga da solo) e quarto nella classifica finale con due giorni in maglia gialla al Tour 1947… Ronconi “rude e resistente”, “duro a morire”, “tutto impeto, tutto orgoglio”. Ronconi privilegiata vittima di forature, imboscate, tradimenti. Ronconi – come scriveva Bruno Raschi – “è un uomo che riflette; non ha la parlantina di un Bartali, non è taciturno ed enigmatico come Coppi, gli sono ignoti i mordenti epigrammi di quell’originale di Ortelli… C’è sempre un’ombra di fatica e di pena nel suo volto, gagliardo e aperto: come se la gara gli costasse un duro sacrificio. Quest’ombra di fatica e di pena è la sua nobiltà morale”. Quando apre un negozio di bici, e di altro, a Faenza, Ronconi diventa una
firma a due ruote, il sacerdote di un tempio, il testimone di un’epoca, un punto di riferimento. Gli ultimi anni non sono all’altezza – anche se l’altezza non è mai stata il suo forte – del suo valore. Prima una casa di riposo, poi una casa di cura. Aveva 93 anni. Aveva respirato tutta l’epopea di Bartali e Coppi, coabitato con Ortelli, assistito i corridori della domenica. Aveva, nella vita, quella sveltezza che gli mancava in volata. Ai funerali non c’era nessuno a rappresentare la Federazione ciclistica italiana, non c’era nessuno del Comune di Faenza, né sindaco né assessore allo Sport. “La Gazzetta dello Sport” gli ha dedicato fotina e 15 righe. E pensare che era il più antico professionista italiano. E’ morto il parroco. Viva il parroco. E solo adesso – finalmente – ne capisco il senso.

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