Non credo di essere
il solo che quando pensa a Domenico Baccarini lo associa alle vedute di Faenza
ed inevitabilmente alla Faenza dei Canti Orfici di Dino Campana. Domenico
Baccarini era di sette anni più giovane di Campana, nato infatti nella città
manfreda nel 1892, dove studiò il disegno per poi passare nel 1901, grazie ad
una borsa di studio, alla Regia Accademia di Belle Arti di Firenze dove conobbe
Costetti autore dell’unico ritratto ad olio esistente che raffigura il poeta
marradese Dino Campana. Una parentesi romana, lo vede frequentare le lezioni
della Scuola del Nudo presso l’Accademia di Francia, è di questo periodo la
realizzazione del grande trittico “L’umanità dinnanzi alla vita”, opera
incompiuta, modernissima ed antesignana delle elaborazioni cromatiche di
Boccioni. Nel 1904 è di nuovo nella sua Faenza, dove nei primi anni del secolo,
si era formato un gruppo di artisti particolarmente vocati alla maiolica.
Domenico Baccarini, che muore nel 1907 a soli 24 anni, è autore dei grandi
busti dei personaggi e degli artisti del suo cenacolo Beltramelli, Costetti,
Golfieri, Nonni, Zanelli. Fra questi, come testimonia la sua produzione
scultorea, dimostra di essere un talento straordinario. “Disegnatore e plastico
per dote naturale, egli sperimentò ogni tecnica e fece incessante dono del suo
sapere e del suo amore a tutti i suoi compagni di scuola e di lavoro ” (Ennio
Golfieri, “L’arte a Faenza dal neoclassicismo ai nostri giorni”, 1977). Il
cenacolo che da Baccarini prende il nome coinvolge artisti di grande talento
come Domenico Rambelli, Giuseppe Ugonia ed a questa tradizione ed a questa scuola
si formerà anche il
pittore Franco Gentilini, autore dello splendido
ed inconfondibile ritratto di Dino Campana. L’anno dopo la prematura scomparsa
di Baccarini nel 1908, si svolge a Faenza la grande Esposizione Torricelliana,
allestita in occasione del terzo centenario della nascita dello scienziato, e
Gaetano Ballardini, uno dei massimi studiosi di ceramiche, fonda il Museo delle
ceramiche. Faenza per Campana sì anima
di “qualche cosa di danzante”, presenze’ femminili attraversano le sue piazze
come creature misteriose e affascinanti conferiscono però alla situazione
qualche cosa di “danzante”, danno quindi una nota di vita. “La vita ha qui un
forte senso naturalistico. Come in Spagna. Felicità di vivere in un paese senza
filosofia”. Se ritorniamo all’anima danzante che sembrava invadere la piazza
nel primo passaggio si potrebbe collegare quindi proprio alla danza questa
felicità di vivere. La danza viene interpretata da Campana quindi come un
impulso primario totalmente slacciato dalla razionalità e dalla riflessione.
Faenza sembra incorporare l’idea dello slancio vitale e primario della danza.
“II museo. Ribera e Baccarini. Nel corpo dell’antico palazzo rosso affocato
nel meriggio sordo l’ombra cova sulla rozza parete delle nude stampe
scheletriche”, spicca ancora una volta sullo scenario cittadino l’elemento
artistico e la danza, “Durer, Ribera. Ribera: il passo di danza del satiro
aguzzo su Sileno osceno briaco”. Come se una telecamera stesse preparando
l’atmosfera per un evento che in questo caso non avverrà mai. Rodolfo
Ridolfi
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