di Piero Ostellino Altro
che «democrazia sospesa»; qui siamo in pieno autoritarismo, mascherato da efficientismo,
che sta distruggendo quel poco di democrazia liberale che c'era. Con lo Stato
che esige subito le tasse – anche quando ha torto: paga e poi si vedrà se hai
ragione (solve et repete) – e onora i suoi debiti con anni di ritardo, e di
fronte ai sempre più numerosi suicidi, il rifiuto del professor Monti della
ragionevole (civile) proposta Alfano di poter scalare dalle tasse (dovute) i
crediti (pretesi) rivela un totale disprezzo dei diritti dei cittadini. Ci
volevano dei non eletti per dimostrare che un governo che non debba
rispondere agli elettori è automaticamente dispotico. Altro che «democrazia
sospesa»; qui siamo in pieno autoritarismo, mascherato da efficientismo, che
sta distruggendo quel poco di democrazia liberale che c'era. Confesso che,
conoscendolo come persona intellettualmente onesta, ed essendogli amico, mi ero
illuso che il cattolico-liberale Monti, se non proprio propenso a far prevalere
l'umanesimo cristiano sulla disumana Ragion di Stato (che, peraltro, è teoria
di un cattolico: Botero) – fosse almeno incline a ricordarsi di essere
liberale. Invece, per dirla con lord Acton, «se il potere corrompe, il potere
assoluto (incontrollato) corrompe assolutissimamente». Ho l'impressione che
questi professori si prendano un po' troppo sul serio nel ruolo di «salvatori
della Patria» e tendano a comportarsi con i cittadini come, probabilmente, si
comportavano con i propri studenti. La politica, in una democrazia liberale, non
è «prendere o lasciare», ma rispetto (costituzionale) dei diritti e delle
libertà individuali, nonché delle minoranze. Ma qui chi controlla? Non lo
fanno i partiti in Parlamento, ormai supini – per incultura, debolezza e
provincialismo – «a quelli che sanno». Non i media che dovrebbero legittimare
l'Ordinamento esistente, ma anche fornire al cittadino gli strumenti per capire
e giudicare – e sono una sorta di neo-Minculpop: «il Duce ha sempre ragione»;
anche se Monti non sempre ce l'ha. Con
un'opinio
ne
pubblica frastornata cui è stato fatto credere di essere in guerra – contro lo
spread – le si nasconde che questo governo non è «la soluzione», ma sta
diventando «un problema», e inclina verso un «fascismo di popolo». Sono rimasto
il solo a dirlo e mi spiace ripeterlo: è, nelle parole di Piero Gobetti sul
fascismo, «d'autobiografia di una nazione». Altro caso. L'esenzione fiscale
della prima casa non sarebbe una forma di «evasione fiscale» come sostiene il
governo; ecco un altro (suo) tratto antidemocratico, per non dire illiberale.
La prima casa – spesso frutto del risparmio di una vita sul quale si sono già
pagate le tasse – è un «bene primario» per i meno abbienti; che non hanno
l'alternativa fra la casa e andare a dormire sotto i ponti. Dovrebbe essere la
soglia minima oltre la quale il Fisco non dovrebbe andare in uno Stato che
voglia essere davvero sociale. Invece, la sua esenzione è sprezzantemente
equiparata a un reato; mentre, in nome della giustizia sociale, si stanno massacrando
di tasse (soprattutto) i ceti meno abbienti.
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