''Il 'partito moderno' anzi 'futurista' di Gianfranco Fini, sta rivelando di portare nel suo dna qualcosa di strutturalmente e di in accettabilmente vecchio: la pretesa radicaleggiante di dividere il mondo in buoni e cattivi, in arretrati e progrediti culturalmente, sulla base di una promessa e di un pregiudizio ideologico''. Lo scrive Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, rispondendo all'intervento di un lettore che, citando alcuni passaggi del discorso di Fini, ironicamente spiega di non accettare l'idea che la famiglia fondata sul matrimonio sia sintomo di arretratezza culturale. ''Il ronzio di fondo che accompagna le dichiarazioni del leader ricorda - spiega Tarquinio - le sicumere dell'anticlericalismo proprio, con le sue ambizioni e le sue miserie, di una certa Italia liberale in tutto e con tutti tranne che nei confronti dei cattolici. Un retorico elogio della confusione, all'insegna del più piacione dei relativismi. Nonostante l'ostentato richiamo all'idea di una laicità positiva''. ''Il neoleader di Fli e attuale presidente della Camera - prosegue il direttore di Avvenire - si mostra pronto a ridurre la 'famiglia tradizionale' a una possibilità, a una mera variabile in un catalogo di desideri codificati, manco a dirlo, secondo 'gli standard europei'. Bizzarro, deludente e rischioso argomentare che si somma all'altrettanto pericolosa scelta di campo che l'ha indotto a osteggiare una legge, quella sul 'fine vita', tesa a scongiurare la surrettizia e anti-umana introduzione di pratiche eutanasiche nel nostro ordinamento. Come potrebbero - conclude Tarquinio - non tenerne conto con lucidità i potenziali interlocutori politici di Fini?''.
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