TRATTO DAL MATTINALE
Ma chi l’ha detto che il governo cadrà? Che si andrà alle urne? Che Silvio Berlusconi non resterà, in questa legislatura, a palazzo Chigi continuando ad essere il premier degli italiani?
La decisione di ieri del capo dello Stato Giorgio Napolitano è doppiamente sfavorevole a quanti, per così dire, avevano venduto la pelle dell’orso senza averlo abbattuto. Parliamo di chi avrebbe preteso di votare prima la sfiducia alla Camera, convinti che ci sarebbe stata, togliendo di mezzo la mozione opposta, di fiducia, al Senato. Errore: Senato e Camera discuteranno e presenteranno le due mozioni lo stesso giorno, il 14 dicembre. Tra poco meno di un mese: e in un mese, come si è visto, accadono molte cose. Ma soprattutto la contemporaneità saggiamente decisa da Napolitano fa giustizia di un argomento delle opposizioni, e spunta un’arma nelle loro mani. L’argomento è che la sfiducia fosse istituzionalmente e politicamente più forte, avesse più diritto di cittadinanza, della mozione a sostegno del governo. Non è per nulla così, e il Quirinale lo ha dimostrato. L’arma spuntata è quella del voto a Montecitorio. Se fosse venuto prima di palazzo Madama le opposizioni erano sicure di farcela. Adesso i deputati dovranno decidere sulla scia e tenendo conto dell’atteggiamento dei senatori. La questione centrale è però ancora un’altra. Il Quirinale ha sostanzialmente fatto capire, mostrandosi realmente super partes, e allineando il voto delle due Camere, che gli scenari possibili sono due: o entrambi i rami del
Parlamento confermano l’appoggio a Berlusconi, e dunque si va avanti, oppure nel caso di voto difforme non esiste maggioranza alternativa che possa consentire nessuna ipotesi intermedia, nessun governo tecnico, “per la legge elettorale”, “di responsabilità”, insomma nessun marchingegno per ribaltare la volontà popolare e costituire un esecutivo degli sconfitti. In quel caso, difatti, si va alle elezioni anticipate, con Berlusconi (forte della maggioranza al Senato) che guiderà il Paese alle urne.
Viene meno la possibilità di proseguire la legislatura togliendo dalla scena l’incomodo del premier, unico elemento unificante delle varie opposizioni. Mentre molti parlamentari, soprattutto deputati, dovranno riflettere sul senso, sull’opportunità, sulla responsabilità – per il Paese e per loro stessi – di interrompere la legislatura in questo momento ed in questa situazione. Per fare che cosa? Per andare dove? Mirando a quale governo?
I sondaggi danno ancora vincitrice la coalizione di centrodestra, tra Popolo della Libertà e Lega, alla quale potrebbero unirsi forze davvero responsabili, di fatto non a parole. A sfidarla sarebbero, sulla carta, due mini-coalizioni: quella di sinistra con Pd, Idv ed ex Rifondazione; e gli eventuali centristi: Udc, Mpa, Api, Fli. In altri termini, due minoranze, destinate entrambe alla sconfitta, e in questo caso anche a sottrarsi a vicenda i seggi nel futuro Parlamento. Molti, alla Camera e al Senato, sarebbero insomma sicuri di andare a casa.
Ma questo è appunto uno scenario sulla carta, ad oggi. Teoricamente sarebbe possibile un’alleanza tra sinistra e centristi. Il partito di Fini che si allea con quello di Vendola, come pure ha chiesto qualche futurista: bel risultato, dopo che Fini stesso è andato in tv ad elencare “i valori della destra”. Un suicidio, politico ed elettorale. Ed infatti risulta che lo stesso presidente della Camera stia frenando questi ardori.
Più plausibile un’altra ipotesi: che molti, nel variegato fronte delle opposizioni, ragionino davvero sull’opportunità delle elezioni. Che in realtà temono. Non solo per il governo attuale, ma per loro stessi.
- Convengono al Pd, che le perderebbe?
- Convengono ai centristi realmente moderati, che vedrebbero tramontare definitivamente i loro sogni di terzo polo, posto che abbiano mai avuto consistenza?
- Convengono allo stesso Fini e ai finiani?
- Convengono a tutti quelli che desiderano la continuità della legislatura?
Conclusione: il centrodestra è ovviamente più che pronto ad affrontare le elezioni anticipate, con la ragionevole certezza di vincerle. Oppure, naturalmente, a proseguire e realizzare l’ampio piano di riforme già votato dai due rami del Parlamento. Un voto nel quale, senza conteggiare l’apporto di Fli e Mpa, il governo ottenne 307 sì: appena nove in meno della maggioranza assoluta di Montecitorio. Molte cose sono cambiate da quel 29 settembre ad oggi: e molte possono ancora cambiare. C’è chi dice che le mozioni di sfiducia potrebbero restare distinte, una della sinistra e una dell’area di centro, e risultare entrambe battute. O più semplicemente che qualcuno potrebbe ripensarci.
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