La vita
degli uomini non viaggia a compartimenti stagni. Siamo una cosa sola. Se una
dimensione dell’esistenza si scardina, va a ramengo tutto. Così la vita di un
popolo. Economia e giustizia si tengono insieme. Così la politica, così
il governo non possono tenere separati, come se fossero parallele che non si
incontrano, aspetti coessenziali del sistema Italia. È elementare. Se c'è uno
squarcio su una fiancata, non serve riverniciare e consolidare l'altra, la nave
va a fondo. Il punto oggi è questo. Non ci sono abracadabra in politichese che
possano sostituire questo dato di realtà: la prevalenza dei contenuti e
delle scelte reali, rispetto alle fumisterie sugli scenari che imporrebbero la
pazienza, in nome di un bene superiore, di incassare legnate sulle tasse e
sulla giustizia. In termini meno aulici: basta balle. Non tengono alibi di
scenari internazionali che ci obblighino “per responsabilità” a consentire il
soffocamento fiscale di famiglie e imprese. Non esiste in natura la
possibilità che si possa lasciar somministrare a Silvio Berlusconi la cicuta
della decadenza da senatore, in nome della pace sociale, e che noi
dolorosamente si consenta questo abominio. In sintesi.
1) La Legge di
Stabilità non potrà essere, finché siamo parte della maggioranza e nostri
ministri sono al governo, lo strumento con cui lo Stato piazza sulla gola delle
famiglie e delle imprese gli stivaloni tedeschi di un’austerità farcita di
tasse. Non possiamo contraddire noi stessi e fare del male all’Italia.
2) La decadenza di Silvio
Berlusconi coincide con la decadenza di questo governo e la fine delle
larghe intese. Non ci sono ragionamenti da politologi bizantini che possano
ribaltare questa nostra determinazione. Offendere la democrazia significa
picconare la colonna portante della pace sociale. Non in nostro nome, non
stringeremo la mano destra sotto il tavolo a chi con la sinistra, dotto gli
occhi del mondo, pugnala il nostro leader.
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