In attesa dei decreti
attuativi alla legge Delrio - dovevano arrivare a luglio, sono previsti a settembre
- a Salerno il presidente nomina quattro nuovi assessori. Uno in più anche a
Bari. La provincia di Bergamo invece si è comprata un terreno in Basilicata per
56 milioni, mentre quella di Rovigo distribuisce gettoni per merito ai
dirigenti
Non solo le Province
restano. Ma continuano a fare quello che facevano, come se ci fosse ancora un
domani per una istituzione da 11
miliardi di euro l’anno. La ragione è fin troppo semplice, ma
il problema è grave per le casse pubbliche che languono: dopo quattro mesi dalla
data di entrata in vigore del ddl
Delrio (dal nome dell’allora ministro per gli Affari regionali e attuale
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Graziano Delrio) sul
riordino delle Province, mancano ancora i decreti attuativi per renderlo operativo.
“Dovevano essere approvati entro l’8
luglio – spiega il presidente dell’Unione province d’Italia
(Upi), Alessandro Pastacci
– ma le Regioni non hanno trovato un accordo con il governo. Così hanno
posticipato al 5 agosto,
senza risolvere un bel niente. Si incontreranno l’11 settembre, speriamo
che sia la volta buona”.
RITARDI SU
RITARDI.
Alla vigilia delle votazioni, indette tra il 28 settembre e il 12 ottobre, per
le nomine dei nuovi consigli provinciali secondo la legge 56 (cioè la riforma
Delrio), è tutto fermo. Eppure la tabella di marcia verso lo svuotamento degli
enti era fissata da tempo. Entro la fine di quest’anno devono scomparire e
rinascere sotto nuova sembianza, più snella e, in teoria, meno costosa. In
pratica, enti di secondo livello con tre organi: il presidente, carica assunta
dal sindaco del capoluogo; l’assemblea dei sindaci, rappresentata dai primi
cittadini del circondario; e il consiglio provinciale, costituito da dieci a 16
membri (a seconda degli abitanti) selezionati tra gli amministratori municipali
locali. A partire dal primo gennaio 2015, invece, devono nascere le prime città
metropolitane: Milano, Roma, Firenze,
Genova, Bari, Bologna,
Torino, Napoli. Poi toccherà anche a Reggio Calabria e Venezia.
Ma le Province fanno finta
di niente e continuano a tenere in piedi la loro impalcatura, rinnovando i
contratti interni. Anzi, in pieno agosto, sono più dinamiche e propositive del
solito. Tanto per citare qualche esempio, a Salerno il presidente Antonio Iannone, ai primi
del mese ha rinfoltito la squadra della sua giunta con quattro nuovi assessori.
Il numero uno di Palazzo Sant’Agostino ha atteso invano i decreti attuativi, “e
sono andato anche oltre – scrive in una nota – ma, puntualmente, Renzi ha
dimostrato di non essere capace di andare oltre gli annunci. Sono nell’esigenza
di completare la squadra di governo viste le responsabilità e gli impegni che
continuano a gravare sul nostro ente”. E conclude, “faremo fino in fondo il
nostro dovere nonostante le decisioni criminali del governo Renzi”. Negli
stessi giorni, anche al presidente della Provincia di Bari, Francesco Schittulli, è
venuto in mente di nominare un altro assessore alla Formazione professionale e
Politiche del lavoro. La Provincia di Bergamo,
addirittura, ha deciso di fare affari comprando un pezzo di terra in Basilicata
per 56 milioni di euro
(di cui 12 sganciati dall’Ue) dove costruire una centrale a biomasse. Quella di
Rovigo,
invece, non sente la crisi e due giorni prima di Ferragosto, con un decreto, ha
stanziato premi
per merito per sei dirigenti e il segretario generale che ai cittadini costano 146mila euro. E poi quella
di Torino che ha messo in vendita il palazzo della Questura per fare cassa,
scatenando una bufera tra i poliziotti.
Ridotte drasticamente le
competenze, trasferite a Regioni e Comuni, fatta eccezione per l’edilizia
scolastica e la pianificazione dei trasporti e della tutela dell’ambiente. E
questo è il pomo della discordia tra Stato e Regioni. Le seconde, chiarisce
Pastacci, “non vogliono accollarsi delle funzioni che la legge 56 ci ha tolto.
Si dovranno occupare di cultura, lavoro, assistenza sociale e turismo, ma non
sanno ancora in quali termini”. Perché, appunto, mancano i decreti attuativi.
“Anche sull’ambiente è un caos totale: alcune cose sono di nostra competenza,
altre degli enti regionali, ma oggi chi fa cosa?” si chiede il presidente
dell’Upi. E tutta l’Italia è in attesa di una risposta.
INTANTO il Parlamento si è
premurato di cancellare dagli articoli 114 e seguenti della carta
costituzionale il riferimento alle Province. E poi la beffa. Ai primi di
agosto, quindi all’ultimo secondo utile, Camera e Senato hanno apportato una
piccola modifica, contenuta nel decreto legge 90, che va a vanificare il senso
dello smantellamento degli “enti di mezzo”, cioè il risparmio dei soldi dei
contribuenti e una maggiore efficienza dei servizi. Se la legge Delrio in
origine vieta in assoluto compensi ai futuri rappresentati provinciali (perché,
ricoprendo già un’altra carica, non possono ricevere due indennità), i deputati
li fanno resuscitare. Si legge all’articolo 23 che “restano a carico della
città metropolitana o della provincia gli oneri per i permessi retribuiti, per
i rimborsi spese e le indennità di missione, per la partecipazione alle
associazioni rappresentative degli enti locali e gli oneri previdenziali,
assistenziali e assicurativi”. Lanciato il salvagente, le casse tornano a
tremare, e con loro i dubbi: chi finirà il mandato nel 2015 e nel 2016
percepirà la doppia indennità? Nessuno sa, tutto tace. da il Fatto Quotidiano del 22
agosto 2014
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