Eppure i tagli decisi a fine
settembre 2014 con un accordo tra i presidenti dei due rami del Parlamento
erano stato criticati perché troppo
timidi nel ridimensionare salari così generosi che almeno 500
dipendenti guadagnavano più dei parlamentari. La notizia ha scatenato la consueta
polemica contro l’autodichia,
cioè la speciale facoltà di Camera e Senato di risolvere le proprie
controversie giuridiche attraverso un «tribunale» interno. In realtà la vera
ipocrisia è spacciare per qualcosa di paragonabile a un tribunale la «Commissione
giurisdizionale per il personale» della Camera dei deputati, composta non da
giudici indipendenti, ma da tre parlamentari, seppur estratti a sorte. E le
centinaia di dipendenti che hanno fatto ricorso contro il tetto massimo ai
salari hanno fatto bingo: i
«giudici» sono tutti e tre del Pd. Non solo il presidente Francesco Bonifazi,
renzianissimo tesoriere del partito, ma anche gli altri due membri, il deputato
barese Dario Ginefra
e Fulvio Bonavitacola
per il quale, altro scherzo del destino, la sentenza che ai contribuenti costerà 47 milioni di euro
è stata l’ultimo atto da parlamentare. Due giorni dopo si è dimesso ed è andato
a fare il vice di Vincenzo De
Luca alla Regione Campania.
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