giovedì 19 gennaio 2017

GLI INTELLETTUALI SALTANO SUL CARRO DI DONALD


di Paolo Guzzanti. - Era già successo con quasi tutti i presidenti americani repubblicani, ma anche democratici come fu nel caso di Lyndon Johnson. Ma lo spettacolo del riaggiustamento del tiro e dei primi timidi saltelli che precedono il salto definitivo sul carro del vincitore, comincia già a vedersi. La truppa dell'anti trumpismo isterico è ormai riservata, anche in America, a gruppi sempre più ristretti che hanno trovato anzi una ragion d'essere, almeno per ora, nel fingere una resistenza in costume partigiano all'orrido tiranno piovuto dalle urne. Si assiste allo stesso fenomeno che seguì l'elezione di Ronald Reagan, dopo lo spaventoso flop di Jimmy Carter scambiato dalle sinistre mondiali per il messia. Reagan era spacciato per un rozzo cowboy e infatti, in costume da cowboy, era stato protagonista di una ventina di western in bianco e nero, quando le pistole sparavano emettendo una nuvola di talco. Reagan fu accolto dall'intellettualità europea e newyorkese come un mostro, un mediocre anticomunista, quando l'aggettivo anticomunista era considerato infamante, perché soltanto le persone rozze, volgari e di malaffare possono essere anticomunisti. Poi Reagan piegò il comunismo sovietico e vinse la guerra fredda. Così, nel giro di pochi anni si vide che la tempra dell'uomo era solida e concreta ma anche idealistica e allora, in silenzio, alla spicciolata, anche gli intellettuali cominciarono a cambiare idea. Ora, Trump non è Reagan e




non è neanche come i due Bush, padre e figlio che hanno goduto di un loro codazzo di intellettuali neocon. Oggi la figura che si presenta non chiede e non aspira ad avere una copertura intellettuale. Ma gli intellettuali già prendono le misure per vedere se la distanza che li separa dal rivoluzionario tycoon è veramente così grande. In Italia circola già da novembre un manifesto contro i populismi che individua in un unico nemico la Brexit e l'elezione di Donald Trump. Quel manifesto è stato firmato da Gozi, Cohn-Bendit, Gonzales, Saviano, Verhofstadt e Wim Wenders. È certamente un manifesto anche contro Trump, ma allo stesso tempo è un tentativo di analisi della politica di Trump, il quale vorrebbe frantumare l'Europa con dieci, venti Brexit pur di lasciare la Germania da sola, e circondata da un'alleanza a tenaglia fra se stesso e Vladimir Putin. Gli intellettuali in senso canonico, gente da presentazione di libri e di spettacolo, vomita ancora tutto il suo orrore di fronte al nuovo presidente americano il quale vede invece rivolgersi a lui gli intellettuali scienziati, i creatori di startup, i giovani che sono diventati miliardari prima dei quarant'anni creando qualcosa che sanno imporre sul mercato. Quel tipo d'intellettualità costruttiva e giovane è molto agitata e impressionata dalle prospettive che offre il trumpismo. E Trump sembra deciso a scrollarsi di dosso l'aggettivo ostativo «populista» insieme a quello di razzista che gli è stato appioppato da tutta




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