VELDA PONTI, VIVE A BRISIGHELLA:
RISPOSI SULL’ARTE, ERA LA MIA GRANDE PASSIONE
di CARIO RAGGI Resto del Carlino "PER un mese
fu lei, Maria Velda Ponti, faentina vedova di Bartoli vive a Brisighella, la
beniamina di milioni di italiani, ovvero tutto il pubblico di Lascia o
Raddoppia. Era inizio anno del 1957, 60'anni fa, e al giovedì sera la gente
prendeva d'assalto cinema, bar, circoli (ben poche erano le case con la tv) per
sedersi davanti al mastodontico tubo catodico e seguire la trasmissione, condotta
da Mike Bongiorno, che contribuì non poco a cambiare il costume e soprattutto a
far comprendere che conoscenza e possibilità andavano a braccetto, un binomio
che fu di non poco sprono al 'boom economico'. Vent’anni capelli nerissimi a
caschetto tanto che i giornali l'appellarono subito 'la scugnizza', operaia
all'Omsa, appassionata di pittura, si presentò come esperta dell'impressionismo
francese. E con un sogno: sviluppare la propria passione e diventare una
pittrice affermata. Un sogno che si è avverato. Una materia non proprio facile quella scelta per i quiz. «Una
materia che amavo. Avevo un libro, uno solo, e lo conoscevo a memoria». Come nacque la passione per la pittura? «Fin' da bambina, me la sentivo dentro. La
nostra era una famiglia povera, mia madre era operaia all'ebanisteria Casalini,
mio padre, un bellissimo uomo, era morto prima che io nascessi, e poi c'erano due
mie sorelle. Mi rifugiavo in cantina, utilizzavo qualsiasi cosa per dar sfogo
alle mie idee. Avevo 11-12anni».
Andava a scuola? «Avevo frequentato fino alla quinta elementare poi avevo convinto mamma ad iscrivermi alla scuola di disegno di Faenza dove insegnava Francesco Nonni, ricordo che andavo a comperare i colori in via Naviglio, ma poi li manipolavo perché costavano molto e dovevano durare. Non c'erano molti soldi». Ed è stata costretta a ad andare presto a lavorare. «Sì, sono entrata all'Omsa addirittura a 16 anni e quando tornavo a casa andavo in cantina a dipingere». Lascia o Raddoppia comincio a fine novembre del '56. Lei fece domanda subito, quindi? «Sì. Noi andavamo a vedere la trasmissione
Andava a scuola? «Avevo frequentato fino alla quinta elementare poi avevo convinto mamma ad iscrivermi alla scuola di disegno di Faenza dove insegnava Francesco Nonni, ricordo che andavo a comperare i colori in via Naviglio, ma poi li manipolavo perché costavano molto e dovevano durare. Non c'erano molti soldi». Ed è stata costretta a ad andare presto a lavorare. «Sì, sono entrata all'Omsa addirittura a 16 anni e quando tornavo a casa andavo in cantina a dipingere». Lascia o Raddoppia comincio a fine novembre del '56. Lei fece domanda subito, quindi? «Sì. Noi andavamo a vedere la trasmissione
al bar della Pesa, davanti a casa. I concorrenti
si presentavano come esperti nelle più disparate materie. Io sentii di
potercela fare con la pittura e lo dissi alla mamma. Che non mi ostacolò. Poco
dopo arrivò la lettera di convocazione, la prima serata era il 31 gennaio.
Quando salii sul treno mi disse solo: 'Fai la brava, mi raccomando'». Otto domande alla prima sera. Alcune si
riferivano all'individuazione dell'autore di alcuni capolavori dell'impressionismo.
«Monet, Sisley, Renoir, Delacroix..». Ricorda
le domande? «No, figuriamoci. Ma erano i pittori che amavo, fu facile
rispondere. Superò la prima serata e il
suo candore, il suo volto acqua e sapone conquistarono il pubblico televisivo
in ogni angolo d'Italia. «Già. Mi riconoscevano e mi fermavano ovunque, poi
c'erano i giornalisti che mi assediavano, facevano tante domande. Io ero a disagio,
non ero certo abituata a tutto questo. Però le dico che lì in televisione mi avevano
peso in simpatia, per la mia semplicità, la mia spontaneità. In primo luogo
Mike Buongiorno, e la sua valletta Edy Campagnoli. Lei superò anche la seconda e la terza serata. “Si. Un’ esperienza
veramente interessante che io prendevo anche com gioco. Partecipare alla
trasmissione, andare a Milano, da sola, mi faceva sentire libera e questo mi compensava per quanto mi sentivo sacrificata
all’ Omsa. Superata la terza serata vincevo 640 mila lire. Era tantissimo
all'epoca, avrei potuto fermarmi e portarli a casa. Oltretutto cominciavo anche
a stancarmi un po'. Su e giù a Milano in treno, poi studiare, lavorare...Pensi
che non riuscivo a dormire in quell'enorme letto nell'albergo di" lusso
dove ero ospitata. Non prendevo sonno, non era il mio materasso. Decisi
ugualmente di proseguire anziché portare a casa quella somma. Che, onestamente,
a me non interessava. Così mi presentai alla quarta serata, quella da un
milione e 280mila lire. Ma la novità, lo stimolo non c’ erano più e sull'unica
domanda inciampai».
Era il 22 febbraio 1957. Gliela leggo: “in quale anno Cezanne venne ammesso per la prima volta al Salon'; Lei rispose 1874, ma la risposta era 1882. «Tornai a casa con il premio consolazione e lo diedi a mia mamma. Le ripeto, non mi interessava il denaro. La mamma ci aveva insegnato che i soldi indispensabili erano solo quelli per mangiare». La sua vita però stava per cambiare. «Sì, il sogno stava per avverarsi. Cominciai con le mostre, lo stesso anno, il 1957, a Faenza, poi nel corso degli anni Cortina, Roma, Firenze, Mantova, Siena, Milano e poi all'estero, Rijeka, Chamaliers, la Spagna. E in moltissime città della Romagna con Ravenna e Cesena in testa. Ho anche venduto tanto, da non credere». Lasciò quindi il lavoro all'Omsa? «Non subito. Di lì a qualche anno conobbi poi quello che sarebbe diventato mio marito, Valter Bartoli. Muoveva i primi passi nella ceramica. Ci sposammo e venimmo ad abitare a Brisighella. Lui sì che è diventato famoso. Purtroppo è morto, due mesi». La sua pittura si stacca però completamente se che lei di un albero interessava dipingerne l'anima non il tronco." «Certo, certo. Amavo Lautrec, Van Gogh e tanti altri, ma io mi sono orientata da tutt'altra parte, appunto sulla ricerca espressionista. Il mio maestro è stato Mattia Moreni. Poi ho cercato anche altre strade». Dipinge ancora oggi? <<Un pò, ma stento a trovare gli stimoli. Ho già dato e non sogno più”
Era il 22 febbraio 1957. Gliela leggo: “in quale anno Cezanne venne ammesso per la prima volta al Salon'; Lei rispose 1874, ma la risposta era 1882. «Tornai a casa con il premio consolazione e lo diedi a mia mamma. Le ripeto, non mi interessava il denaro. La mamma ci aveva insegnato che i soldi indispensabili erano solo quelli per mangiare». La sua vita però stava per cambiare. «Sì, il sogno stava per avverarsi. Cominciai con le mostre, lo stesso anno, il 1957, a Faenza, poi nel corso degli anni Cortina, Roma, Firenze, Mantova, Siena, Milano e poi all'estero, Rijeka, Chamaliers, la Spagna. E in moltissime città della Romagna con Ravenna e Cesena in testa. Ho anche venduto tanto, da non credere». Lasciò quindi il lavoro all'Omsa? «Non subito. Di lì a qualche anno conobbi poi quello che sarebbe diventato mio marito, Valter Bartoli. Muoveva i primi passi nella ceramica. Ci sposammo e venimmo ad abitare a Brisighella. Lui sì che è diventato famoso. Purtroppo è morto, due mesi». La sua pittura si stacca però completamente se che lei di un albero interessava dipingerne l'anima non il tronco." «Certo, certo. Amavo Lautrec, Van Gogh e tanti altri, ma io mi sono orientata da tutt'altra parte, appunto sulla ricerca espressionista. Il mio maestro è stato Mattia Moreni. Poi ho cercato anche altre strade». Dipinge ancora oggi? <<Un pò, ma stento a trovare gli stimoli. Ho già dato e non sogno più”
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