La sinistra sbaglia quando difende a oltranza un modello di spesa pubblica che in Italia si è stratificato da decenni: sbaglia quando guarda solo al particolare, anzi, ai tanti particolari e così facendo snatura il senso di ogni azione riformatrice. Non si può sempre proclamare che la razionalizzazione della spesa non deve essere fatta a discapito della cultura, della scuola, della ricerca, degli enti locali, del meridione, delle pensioni, della spesa farmaceutica, della sanità, del welfare ecc. ecc . Tutte cose sacrosante, ci mancherebbe, ma che per loro natura entrano a gamba tesa nel paniere di una spesa che nel tempo è lievitato a dismisura e che deve essere riportata a controllo pena la rovina dello Stato e la deriva dell’economia.
La ricetta liberista che finalmente il governo Berlusconi - non senza eccessivi tentennamenti - sta assumendo, richiede sacrifici che in certi ambienti non si vogliono neppure sentire nominare. La sinistra e la CGIL rivendicano come una conquista di progresso ogni allargamento della spesa mentre è solo un arretramento al modello statalista che tanti guasti ha prodotto.
Noi sosteniamo da anni che anche l’amministrazione della scuola debba essere ricondotta alla competenza regionale perché solo in quella sede può trovarsi corrispondenza tra gli standard di qualità e il contenimento della spesa: quando tra non molto sarà la Regione a dovere attuare le razionalizzazioni del sistema scolastico, e sarà chiamata a introdurre elementi di risparmio e di qualità nella gestione dei conti vorremo vedere se questi che oggi urlano e si indignano sapranno alzare le loro bandierine a difesa di ogni rivendicazione come fanno oggi.
Amici del Pd, non basta urlare “la scuola non si tocca” per avere un sistema formativo adeguato e moderno e non basta dire no ad ogni proposta di contenimento della spesa.
E' molto severa la fotografia scattata dall'Ocse sulla scuola italiana presentata ai vertici del Miur. L'Ocse sostiene che le scuole italiane spendono per ciascun studente molto di più degli altri paesi ma i rendimenti in termini di apprendimento da parte degli studenti sono i più scarsi. Questo accade a causa di diverse peculiarità negative, sempre secondo l'organismo internazionale tipiche del nostro paese. Ad iniziare dalle troppe classi poco numerose e alle tante ore di insegnamento rivolte agli studenti. A incidere molto sui costi della scuola italiana è però soprattutto l'alto numero di insegnanti in servizio negli oltre 10mila istituti sparsi per il territorio nazionale: il rapporto insegnante-studente nell'area Ocse è di 6,5 docenti ogni 100 allievi, mentre nel nostro paese raggiunge quota 9,6.
Ancora più negativi gli effetti della mancata meritocrazia: rispetto agli paesi europei da noi l'avanzamento di carriera avviene solo per anzianità. La motivazione principale per fare l'insegnante in Italia sembrerebbe essere soltanto l'elevata sicurezza del posto di lavoro.
I docenti italiani troverebbero così le loro maggiori motivazioni professionali nel riuscire a collocarsi in istituti vicini alla propria residenza. Non a caso, circa la metà degli insegnanti si sposta da un istituto all'altro. Tra le bacchettate che l'Ocse ha dato alla scuola italiana vi è anche la mancanza di valutazione degli apprendimenti: la verifica dei risultati raggiunti dagli alunni sarebbe infatti ridotta a una sorta di verifica interna agli istituti quasi pro-forma. Molta rilevanza viene data anche alla necessità di dare maggiore autonomia di gestione degli istituti ai dirigenti scolastici.
Anche attraverso il loro supporto viene raccomandato dall'Ocse di aumentare il numero degli studenti per classe, minimizzando il numero di classi all'interno di ogni istituto e raggruppando i più piccoli. Decisiva, sempre secondo l'Ocse, sarebbe anche l'azione di ampliamento di responsabilità ed autonomia della singole scuole: ciò avverrebbe attraverso test di valutazione nazionali sia degli istituti sia degli insegnanti: una procedura che permetterebbe di premiare i docenti più meritevoli attraverso incremento di salario, avanzamenti di carriera e offrire una formazione per gli insegnanti non efficaci e infine licenziare i casi estremi. A tal fine l'organismo sovranazionale indica di rendere più rigorose le procedure di reclutamento e assunzione dei docenti. Per quanto riguarda gli istituti l'indicazione è quella di trasferire fondi e risorse supplementari alle scuole virtuose; mentre occorrerebbe avviare una ristrutturazione degli istituti con risultati scadenti.
L'ultima osservazione riguarda l'esigenza di ridurre i tassi di abbandono scolastico (in Italia superiori alla media): viene auspicata l'adozione di un'istruzione e una assistenza di qualità nella scuola dell’infanzia; maggiore supporto a studenti deboli mediante insegnanti e infrastrutture migliori, tempo di istruzione supplementare e attività speciali in piccole classi; un orientamento alla carriera futura degli studenti fin dalle prime fasi dell'istruzione secondaria superiore e coinvolgere i genitori nei piani di orientamento professionale.
E' molto severa la fotografia scattata dall'Ocse sulla scuola italiana presentata ai vertici del Miur. L'Ocse sostiene che le scuole italiane spendono per ciascun studente molto di più degli altri paesi ma i rendimenti in termini di apprendimento da parte degli studenti sono i più scarsi. Questo accade a causa di diverse peculiarità negative, sempre secondo l'organismo internazionale tipiche del nostro paese. Ad iniziare dalle troppe classi poco numerose e alle tante ore di insegnamento rivolte agli studenti. A incidere molto sui costi della scuola italiana è però soprattutto l'alto numero di insegnanti in servizio negli oltre 10mila istituti sparsi per il territorio nazionale: il rapporto insegnante-studente nell'area Ocse è di 6,5 docenti ogni 100 allievi, mentre nel nostro paese raggiunge quota 9,6.
Ancora più negativi gli effetti della mancata meritocrazia: rispetto agli paesi europei da noi l'avanzamento di carriera avviene solo per anzianità. La motivazione principale per fare l'insegnante in Italia sembrerebbe essere soltanto l'elevata sicurezza del posto di lavoro.
I docenti italiani troverebbero così le loro maggiori motivazioni professionali nel riuscire a collocarsi in istituti vicini alla propria residenza. Non a caso, circa la metà degli insegnanti si sposta da un istituto all'altro. Tra le bacchettate che l'Ocse ha dato alla scuola italiana vi è anche la mancanza di valutazione degli apprendimenti: la verifica dei risultati raggiunti dagli alunni sarebbe infatti ridotta a una sorta di verifica interna agli istituti quasi pro-forma. Molta rilevanza viene data anche alla necessità di dare maggiore autonomia di gestione degli istituti ai dirigenti scolastici.
Anche attraverso il loro supporto viene raccomandato dall'Ocse di aumentare il numero degli studenti per classe, minimizzando il numero di classi all'interno di ogni istituto e raggruppando i più piccoli. Decisiva, sempre secondo l'Ocse, sarebbe anche l'azione di ampliamento di responsabilità ed autonomia della singole scuole: ciò avverrebbe attraverso test di valutazione nazionali sia degli istituti sia degli insegnanti: una procedura che permetterebbe di premiare i docenti più meritevoli attraverso incremento di salario, avanzamenti di carriera e offrire una formazione per gli insegnanti non efficaci e infine licenziare i casi estremi. A tal fine l'organismo sovranazionale indica di rendere più rigorose le procedure di reclutamento e assunzione dei docenti. Per quanto riguarda gli istituti l'indicazione è quella di trasferire fondi e risorse supplementari alle scuole virtuose; mentre occorrerebbe avviare una ristrutturazione degli istituti con risultati scadenti.
L'ultima osservazione riguarda l'esigenza di ridurre i tassi di abbandono scolastico (in Italia superiori alla media): viene auspicata l'adozione di un'istruzione e una assistenza di qualità nella scuola dell’infanzia; maggiore supporto a studenti deboli mediante insegnanti e infrastrutture migliori, tempo di istruzione supplementare e attività speciali in piccole classi; un orientamento alla carriera futura degli studenti fin dalle prime fasi dell'istruzione secondaria superiore e coinvolgere i genitori nei piani di orientamento professionale.
Non basta urlare “la scuola non si tocca”. La scuola si deve toccare eccome!.
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