In cinque anni aperte centomila nuove imprese Il settore preferito è quello dell’artigianato
È cresciuto anche negli anni della crisi il numero di immigrati che hanno aperto un'impresa in Italia: nei dodici mesi dello scorso anno, le imprese individuali aperte da cittadini nati fuori dell'Ue sono aumentate di quasi 23mila unità, portando il totale di queste realtà a superare quota 350mila, il 10,9% di tutte le imprese individuali operanti nel nostro Paese. Cinque anni fa, a fine 2010, erano 100.000 in meno. Il dato assume ancora maggior significato considerando che il saldo complessivo delle imprese individuali lo scorso anno è stato pari a -0,1%. Lo rileva Unioncamere-InfoCamere sulla base dei dati del Registro delle imprese delle Camere di commercio italiane. La presenza di piccoli imprenditori extra-Ue si rivela particolarmente significativa nelle attività artigiane: oggi sono oltre 120mila, un terzo di tutte le micro-aziende di immigrati, con forti specializzazioni in settori economici quali i servizi alle imprese (dove il 23% è extra-Ue), il commercio (16,4%) e le costruzioni (15,2%). La mappa della loro presenza sul territorio vede ai primi posti Toscana, Lombardia, Liguria e Lazio (tutte con una rappresentanza di micro-imprese di immigrati superiore al 15% del totale delle imprese individuali regionali), con Prato che, dall'alto del 40,9% di imprese individuali con passaporto extra-Ue, si conferma la capitale virtuale dell'imprenditoria immigrata in Italia. «Per gli stranieri giunti in Italia aprire un'impresa è certamente un modo per integrarsi nel nostro sistema economico e sociale», commenta il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello. «Gli imponenti flussi migratori con i quali ci confrontiamo richiedono
sicuramente politiche di accoglienza mirate. A queste, però, si possono affiancare strumenti e politiche di integrazione a basso costo quali quelle di supporto all'avvio dell'attività imprenditoriale. È questo un ambito nel quale le Camere di Commercio giocano un ruolo importante», conclude.
Di fronte a questa «esplosione» di imprese straniere hanno invece perso slancio le vendite al dettaglio. Nei primi due mesi dell'anno – ha certificato l’Istat – hanno chiuso altri 12 mila negozi, a fronte di poco più di 3 mila aperture, il dato più basso registrato negli ultimi tre anni. Complessivamente, il saldo tra aperture e chiusure è negativo per circa 9 mila imprese. A pesare è un mix di fattori. Sul rallentamento delle vendite di prodotti di abbigliamento ha inciso anche un inverno dal meteo eccezionalmente caldo; sulle piccole superfici, però, si sconta anche l'effetto della liberalizzazione degli orari, che ha favorito la grande distribuzione e creato un regime competitivo insostenibile per le pmi. Il dato pare confermare anche il protrarsi delle conseguenze delle tensioni internazionali, sottolineato dalla Bce, che ha contribuito al rallentamento dei consumi privati in tutto il continente. Un elemento che, visto i recenti terribili accadimenti, non rassicura.
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