Matteo Renzi sostiene di avere utilizzato
al massimo possibile le forbici della Spending review, e di non
avere più spazi a disposizione, perché nel solo 2016 avrebbe già tagliato la
spesa pubblica di ben 25 miliardi. Come
sempre il premier legge a modo suo cifre che spesso la realtà gli ributta in
faccia, e lo fa sia per ragioni propagandistiche (Renzi è perennemente
in campagna elettorale) che per la necessità di utilizzare la presunta
buona pratica di fronte a quei cagnacci della commissione europea che non
vogliono concedergli la flessibilità di finanza pubblica che ha chiesto. Di
solito pochi fanno il controcanto alle sparate del premier italiano. La sorpresa
è arrivata ieri da Il Foglio. Perché a fare un puntuto
contraddittorio a Renzi è stata una economista che è anche un’amica di
famiglia, come Veronica De Romanis. Una economista di
primissimo piano che è anche la consorte di Lorenzo Bini Smaghi, il
banchiere che spesso viene annoverato in cima alla lista dei potenti renziani. La
De Romanis ha smentito il premier, ricordando come il taglio di spesa non sia
affatto di 25 miliardi di euro, ma addirittura inferiore ai 400 milioni. Per
farlo ha utilizzato un documento dello stesso governo Renzi sulla legge di
stabilità 2016, scritto dalla Ragioneria generale dello Stato. Ecco quanto
scrive la De Romanis: «I risparmi per 25 miliardi di euro realizzati nel 2016 –
grazie a iniziative intraprese tra il 2014 e il 2015 e alla legge di Stabilità
2016 – hanno consentito di finanziare alcune delle misure a sostegno della
crescita e dell’occupazione». «I dettagli di queste
misure non sono illustrati nella Nota, tuttavia una cosa è chiara: i tagli
effettivi non possono essere 25 miliardi di euro dal momento che sono stati
utilizzati per coprire incrementi di “altra” spesa pubblica». «Per sapere a quanto ammontano i tagli “netti” per
il 2016, anche in questo caso, bisogna andare sul sito del Mef. Nella
tabella a pagina 4 del documento redatto dalla
Ragioneria generale dello stato (La Manovra di Finanza Pubblica per il
2016-2018), si evince che, per l’anno 2016, la cifra totale della
“variazione netta delle spese” è pari a 360 milioni di euro, di cui 41
di spesa corrente e 319 di spesa in conto capitale Da cosa deriva quella incredibile differenza?
Da un particolare che Renzi omette nei suoi comizi: la spesa non
è stata tagliata, ma semplicemente spostata da un capitolo all’altro. La De Romanis è
perfino tenera nel sottolinearlo, parlando di «qualificazione della spesa»,
ossia di un migliore utilizzo delle risorse pubbliche. Che però escono dalle
casse dello Stato, finanziate dalle entrate, esattamente come avveniva prima. «Quello che emerge dai dati è che il
governo», scrive la De Romanis, «più che tagliare la spesa pubblica,
l’ha spostata da un capitolo a un altro: una linea destinata a proseguire con
l’implementazione della riforma della pubblica amministrazione». Del resto, che questo sarebbe stato
l’approccio seguito lo aveva precisato lo stesso ministro della Funzione
pubblica al momento della presentazione del Ddl delega: «Non so
quanti risparmi porterà la riforma della Pubblica Amministrazione e sono
contenta di non saperlo perché l’impostazione non è di Spending review: non
siamo partiti dai risparmi» . Insomma, tagliare
non sembra essere una priorità. Ma tagliare la spesa è l’unica via per
crescere, spiega l’economista: l’opposto da quanto sostenuto dal premier
italiano. Lei cita «i paesi che
nell’ultimo quinquennio hanno tagliato la spesa pubblica come l’Inghilterra (dal
48,8% al 43%), la Spagna (dal 46% al 43,3%) o l’Irlanda (dal 47,2%
al 35,9%) crescono, rispettivamente, del 2,3%, del 3,2% e del
6,9%. L’Italia,
che nello stesso periodo ha incrementato la spesa pubblica dal 49,9% al 50,7%,
è ferma allo 0,8%». Un de
profundis per le politiche economiche dell’esecutivo. Che fa ancora più
male perché nasce in casa. Ma che non è diverso dall’analisi di altri
osservatori tecnici
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