Con 260
sì, 150 no e 7 astenuti il ddl Delrio che abolisce
le Province è stato approvato dalla Camera ed è legge. Contro
la riforma hanno Fi, M5S, Lega Nord, Sel e Fdi. Dura la contestazione di Forza Italia: durante la votazione più
volte Renato Brunetta ha urlato "Golpe! Questo è un golpe! Votiamo
compatti no". Nel pomeriggio il gruppo ha indetto una conferenza per
spiegare i "distorti effetti di questa incredibile riforma" e per illustrare
le iniziative in merito. Tra le novità contenute nel testo l'istituzione di
dieci Città metropolitane (Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna,
Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria), che dal primo gennaio 2015 subentrano
alle Province omonime e succedono ad esse in tutti i rapporti attivi e passivi.
Tempi diversi sono previsti per Reggio Calabria, commissariata dal 2012: la
città metropolitana non entra in funzione prima del rinnovo degli organi del
Comune ed è costituita alla scadenza naturale degli organi della Provincia. Le
città metropolitane saranno enti di secondo grado e tra le loro funzioni avranno
quelle legate a pianificazione territoriale generale, mobilità e viabilità,
promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale e dei sistemi di
informatizzazione e digitalizzazione. A capo della città metropolitana ci sarà
il sindaco della città capoluogo a meno che lo statuto non ne decida l’elezione
diretta. Gli altri organi della città metropolitana sono il consiglio
metropolitano e la conferenza metropolitana.
Le
Province resteranno enti di secondo grado fino al 31 dicembre 2014, mantenendo
le funzioni di area vasta ed esercitando le funzioni di pianificazione riguardo
a territorio, ambiente, trasporto, rete scolastica, gestione dell’edilizia
scolastica e il controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e
promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale. Con la
redistribuzione di funzioni e personale tra Regioni e Comuni, e solo in piccola
parte alle Province, viene redistribuito sia il patrimonio, sia il personale
con lo stesso compenso. I tagli alle Province di Matteo
Renzi? Cancellano quelli - ben più significativi - che approvò il governo
di Silvio Berlusconi. E il risultato è degno del miglior Tafazzi: venticinquemila
poltrone in più. Il disegno di legge che porta la firma del già ministro
renziano oggi promosso a "Gianni Letta" piddino Graziano
Delrio prevede infatti dei tagli alle assemblee elettive per gli enti
locali più piccoli. Delrio, però, che ai tempi del decreto faceva il sindaco e
il presidente dell'Anci, non si è accorto che il taglio dei consiglieri
comunali nei paesi con meno di diecimila abitanti che ha proposto qualche mese
fa era già da anni una legge dello Stato. La sforbiciata, infatti, era stata
promossa e approvata dell'esecutivo guidato dal leader di Forza Italia nel
luglio del 2011 col decreto 138. Quel documento, che portava le firme tra gli
altri del ministro dell'Economia
Giulio Tremonti,
delle Riforme Roberto Calderoli e di quello degli Affari Regionali Raffaele
Fitto, prevedeva che i membri dei consigli comunali scendessero da sedici a
dieci sotto i diecimila abitanti e da dodici a sei sotto ai tremila. Considerato
che in Italia su 8092, solo 500 Comuni superano i 15.000 abitanti, si
trattava di una riduzione complessiva del personale eletto stimata nella
relazione che accompagnava il decreto nel 40-50%. Quel documento introduceva
anche regole sui compensi: i consiglieri non possono guadagnare più di
un quinto dei sindaci, mentre gli eletti nei Comuni con meno di mille abitanti
e i consiglieri circoscrizionali devono lavorare gratuitamente. Il nuovo testo
rischia però di trasformarsi in un clamoroso autogol: i tagli già decisi
e non ancora entrati in vigore vengono "superati", cioè cancellati.
La nuova legge, che prevede la riforma delle Province e l'istituzione delle Città
metropolitane, permette ai Comuni fino a 3mila abitanti di avere consigli
di 10 membri e giunte di due assessori, cosa che prima era impossibile. Quando
i residenti sono più di 3mila ma meno di 10mila, i consiglieri possono
salire a quota 12 e gli assessori a quattro. Risultato? Venticinquemila posti
in più, spacciati per tagli. Anche se almeno un'accortezza il governo ce l'ha
avuta: per attuare questo ampliamento, i Comuni dovranno rivedere i costi di
gettoni e indennità. L'aumento dei posti, infatti, non potrà comportare piu
spese, dovrà essere finanziato con una diversa redistribuzione delle stesse
risorse stanziate ora.
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