Partito per governare in nome del riformismo di
sinistra, sicuro di avere in tasca le chiavi di palazzo Chigi, Pier Luigi
Bersani non si è mai ripreso della sconfitta che solo la legge elettorale ha
trasformato in una risicatissima ed effimera vittoria numerica alla Camera. Si
è dunque messo a inseguire freneticamente i grillini offrendo tutto ciò che
poteva capitargli a tiro. A cominciare dalla corresponsabilità nel governo
dell'Italia, che invece Beppe Grillo vuol fare implodere. Strada facendo, il
segretario del Pd ha compiuto un gesto che nessuno dei suoi predecessori aveva
neppure immaginato: promettere di votare a favore dell'arresto del suo principale
avversario politico, Silvio Berlusconi. l sì alle manette ipotizzato dal capo
della segreteria bersaniana Maurizio Migliavacca è un atto che riporta alla
peggiore sinistra manettista (quella degli Ingroia e dei Travaglio, per
intenderci), e manda in fumo anni di tentativi di separare la dialettica
politica dalle toghe politicizzate. Una sorta di benservito proprio nel giorno
in cui Giorgio Napolitano predicava il contrario. Bersani, capo - ancora per
poco - di una sinistra che era e resta minoritaria, non solo non è stato in
grado di proporre un programma di governo minimamente degno di tale nome, ma
sta facendo regredire il suo schieramento e il Paese intero ad un massimalismo
che pensavamo sepolto dalla storia. Basta vedere il suo programma in otto punti
e 40 capoversi: il manifesto di un collettivo scolastico, qualcosa che non
esiste in nessuna sinistra socialdemocratica europea. Si torna ai post-comunisti dei funzionari di
partito, della case del popolo e soprattutto dei tentativi di accordo sottobanco
con qualche compagno di strada utile alla bisogna. Nonostante i "no"
espliciti finora ottenuti. Si può ripetere che l'insuccesso ha dato
alla testa a Bersani; più probabilmente ha tolto la maschera alla sinistra che
ha in mente.
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