Chiariamo subito una cosa: un onorevole non è assunto dal popolo
italiano, ma è eletto pro tempore affinché rappresenti alcune
idee e alcuni interessi del popolo italiano. Punto e basta. Dunque, non essendo
dipendenti di chicchessia, deputati e senatori in cambio del servizio prestato dovrebbero ricevere al massimo un rimborso
spese e nulla più. Invece, come è a tutti noto, ricevono una indennità (cioè uno
stipendio), diarie e
contributi vari, più altro genere di aiuti (assistenza medica,
biglietti gratis, etc etc) e perfino un
vitalizio. Con il risultato che alcuni, pur essendo dipendenti
di aziende private e godendo dei contributi
figurativi che garantiscono la pensione nonostante l’assenza
dal lavoro, quando lasciano il Parlamento, oltre a una buonuscita per il
reinserimento nel mercato, che è l’equivalente di un Tfr, ricevono pure un
vitalizio che si somma a quello che otterranno per il lavoro che non hanno
fatto.
Il problema perciò non è
se togliere o meno la pensione agli onorevoli
condannati. Il
problema è togliere la pensione a tutti gli onorevoli. Stop.
Altrimenti, come succede, c’è chi entra in Parlamento convinto di aver vinto
alla lotteria e non ha più intenzione di andarsene, perché quello è il modo di
sbarcare il lunario e anche di raddoppiarlo. Ha ragione Ugo Sposetti: così a certi ex
onorevoli si nega il diritto alla sopravvivenza. Già: mentre agli ex
dipendenti, cioè a quelli che hanno perso il lavoro e non hanno la
pensione per gli effetti di una legge
Fornero votata dalle Camere, la sopravvivenza si può negare?
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