Torniamo a parlare di Brisighella
e delle ricamatrici dell’Associazione
“C’era una volta il ricamo”, che con la 19ª Mostra, 1915 – 2015 – Dalla “Grande Guerra” sul filo del
ricamo… ci propongono di rivivere gli ultimi cento anni
della loro comunità attraverso l’evoluzione e l’espressione di un artigianato di qualità. Qual
è il filo che
lega il saper fare di oggi
al saper fare di quel terribile ieri,
datato ’15-’18 e proseguito poi, a distanza di appena un ventennio, con il
secondo conflitto mondiale?
Per le organizzatrici
dell’evento la risposta è una sola, inequivocabile: il filo non può che essere
una “promessa di bellezza”.
Source: www.brisighella.org/scopri-brisighella/artigianato/
Immagino che lo storico,
giornalista e diplomatico britannico Edward Carr, autore del celeberrimo saggio
di metodologia storica Sei lezioni sulla storia
(tenute all’Università di Cambridge), avrebbe molto apprezzato questa rassegna di ricami esposta
alla Chiesa del Suffragio di
Brisighella (fino al 10 maggio):
l’avrebbe ritenuta una fonte
di informazioni preziosa.
Come si viveva in questa
comunità del ravennate agli inizi
del Novecento, come si lavorava? E le donne di Brisighella e
dintorni: come passarono dal confezionare busti e corsetti
nei laboratori delle suore della Sacra Famiglia (giunte in paese nel 1911), o
presso l’Istituto Emiliani di Fognano e dalle sorelle Valvassori (conosciute
fino in Inghilterra), alla produzione intensiva di tende, zaini e vestiario militare per la
fanteria? Che cosa significò questo per le loro famiglie, nell’economia locale, in
relazione alla loro
stessa presa di coscienza economico-politica?
Questi ricami sono un reperto. Raccontano storie minime. Storie
minime sulle quali si fondano la comprensione e interpretazione della Storia,
quella con la lettera maiuscola, luci e ombre insieme – avrebbe detto Edward
Carr. Ma soprattutto questi ricami raccontano i sogni e la tenacia di quelle generazioni massacrate da
due guerre insensate.
Il Liberty aveva dischiuso
all’Europa nuove prospettive:
linee aeree, leggerezza floreale da vivere fuori e dentro le abitazioni, negli
arredi urbani, nel vestiario. Positività
e ottimismo.
Poi il baratro: la Grande
Guerra, le stragi del Carso (su quell’Altopiano persero la vita
anche 200 brisighellesi). E pochi anni dopo ancora un altro carnaio culminato
con i rastrellamenti, le SS, il
rumore sordo delle fortezze volanti e lo scoppio delle bombe. Buio, paura,
morti…, come scrive Velda
Raccagni, brisighellese, autrice del libro Il mio incontro con Giuseppe Ugonia
[1881-1944, illustre pittore
e litografo di ascendenze locali]. Altre storie minime che la Storia ha risucchiato
in un buco nero e che il ricamo rivela con pudore.
Che cosa ne fu di
quest’arte allora, dopo la seconda guerra mondiale, a Brisighella? Che
frutti diede l’esperienza della “Scuola
di Disegno per Arti e Mestieri” voluta dal sindaco Francesco
Bracchini nel 1909 e diretta dal maestro litografo Giuseppe Ugonia? L’amore per
il bello che si era espresso in competenze artigianali alte (ferri battuti, ebanisteria, ceramica e naturalmente ricamo) in che modo
evolvette, quale risonanza economica ebbe sulla sussistenza della comunità,
basata molto sulle competenze artigianali delle sue donne adesso che tanti
degli uomini partiti per il fronte non avevano più fatto ritorno?
Bisognava comunque
riprendersi e Brisighella reagì, racconta Velda Raccagni.
Mentre alcune brave
ricamatrici continuarono a produrre bei capi in privato, molte donne si
ritrovarono sotto casa, con le loro seggioline, tutte in cerchio, giovani e
anziane, attorno a grandi tovaglie bianche da ricamare a smerlo e intaglio con
cotone écru. Tutti i pomeriggi lavoravano a cottimo fino al tramonto, non era
un ricamo fine, ma s’imparava presto e serviva ad integrare le poche entrate
familiari e un po’ anche a ridere, mentre i bambini giocavano intorno. Il
lavoro lo portavano da Firenze la Vicenzina Graziani, la Cocchi e altre.
Rimasta sola, Nina Valvassori
fu costretta a cedere al Comune la sua casa per ritirarsi nel ricovero per
anziani e tutto quel bagaglio di veline e disegni andò disperso. Morì nel 1986.
Nel 1987 il Consorzio
Centro Formazione Professionale istituì a Brisighella un “Corso di Operatore
del ricamo tradizionale” con lo scopo di preparare delle giovani ragazze a
questa arte. Per tre anni 16 allieve si esercitarono nei vari punti
sensibilizzando il gusto nelle cento sfumature di colore, impararono simmetrie,
proporzioni e sfilature anche complicate esercitandosi con il chiacchierino e
l’aemilia-ars.
La Direzione della rivista
“Rakam”
stabilì contatti con la direttrice-insegnante Anna Bartoli, mandò giornalisti,
fecero interviste, fotografarono mostre e pubblicarono molti lavori. Questo
portò prestigio e fama al corso. Al termine le 16 ragazze sostennero un esame.
Nel 1989, per una felice
intuizione di Anna Bartoli, assieme ad alcune ragazze del corso e con la
fattiva collaborazione di altre brave ricamatrici del paese, nacque
l’Associazione “C’era una volta il ricamo” che da 26 anni porta avanti
quest’arte istituendo concorsi, facendo mostre, insegnandola con vivacità e
coraggio per non lasciare morire questo enorme bagaglio d’esperienza.
E il resto?
L’abbiamo davanti, nel
susseguirsi ogni anno di mostre con temi sempre diversi, mai banali, nonostante
il momento e la crisi, conclude Velda Raccagni.
Storia, Bellezza, Lavoro: il ricamo è stato, e per certi
versi continua a essere, una testimonianza
di tutto questo. Ci fa piacere che l’Associazione “C’era una volta il ricamo”
ce lo ricordi ancora una volta.
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