SECONDO UNO STUDIO IBL, LA SOPPRESSIONE TOTALE
POTREBBE PORTARE A DUE MILIARDI DI RISPARMIO
Trentacinque province
cancellate. Avrebbero dovuto essere di più, ma è un primo
passo. Adesso, come ha detto il ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri,
niente campanilismi e andiamo avanti. I giornali abbondano di interviste e interventi
di notabili e celebrità locali che tra molti amarcord e nostalgie partecipano
allo strapaesano dibattito sul duello Imperia-Savona, Asti-Alessandria e
Pisa-Livorno. Piacenza pur di sottrarsi al connubio con l'odiata vicina Parma
promuove un referendum per diventare provincia lombarda. L'Italia, del
resto, tende a essere se stessa anche nei momenti più gravi. Quello che
dobbiamo tenere a mente, invece, sono i vantaggi di questa prima mossa. Il
costo complessivo delle Province è di undici miliardi di euro, compreso il
personale. Secondo l'istituto «Bruno Leoni», think tank liberista, la totale
soppressione delle Province - senza toccare il personale - potrebbe portare a
due miliardi di risparmio per le spese di gestione e amministrazione e per il taglio
degli organismi elettivi (costo stimato per questi ultimi 450 milioni circa).
In questi due miliardi sarebbero dunque incluse le spese per mandare avanti la
macchina provinciale. In caso di abolizione totale, le funzioni sarebbero
trasferite altrove e le relative spese inglobate in altri bilanci locali. Quanto
si risparmia intanto con l'abolizione delle trentacinque province a partire
dal 2014? Per ora
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esistono solo delle
stime. Secondo le valutazioni più attendibili, l'eliminazione delle cariche
elettive potrebbe portare risparmi compresi tra i 40 e i 150 milioni. Mentre la
riorganizzazione degli uffici pubblici, prefetture, questure, eccetera potrebbe
portare un altro centinaio di milioni di minori uscite.
Oggi è indispensabile
tagliare tutto quello che è inutile. Anche per una
questione simbolica. L'operazione sulle Province - anche se avrebbe potuto
essere più drastica - per il momento è l'unico atto organizzato e non
estemporaneo da parte delle istituzioni per la riduzione dei costi del sistema
politico- amministrativo. E decisivo andare avanti in questa direzione per dare
risposte ai sentimenti antipolitici che avanzano nell'opinione pubblica.
Il rumore di fondo dei
campanili ovviamente non cesserà. Le piccole oligarchie
locali cercheranno di difendere i loro microinteressi cantali, geografici,
nonché le pretese identitarie e le differenze antropologiche. Dobbiamo sperare
che il governo se ne disinteresserà completamente. Lo stato d'animo anti
fiorentino dei pistoiesi non può diventare nè una questione politica nè un
costo amministrativo. Bisogna che il governo, il parlamento e i partiti siano
uniti e mostrino fermezza, anche perché dopo le Province il prossimo passo
dovrà essere per forze di cose una seria discussione sulle Regioni. A partire
da quelle a statuto speciale, che dal riordino delle Province non vengono
toccate, ma che sono esattamente come le Province - uno strumento
amministrativo superato dalla storia e messo profondamente in crisi
dall'esperienza fin qui maturata. Basta guardare la Sicilia. Marco
Ferrante
La Stampa
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