Questa è guerra, ce l’hanno dichiarata, viene dall’Islam. E la
sinistra italiana al governo cieca e incompetente nega l’evidenza e ci conduce
alla tragedia. Ha fallito in ogni campo. Estero, immigrazione, economia. E
blocca il Parlamento parlando d’altro. Per dilettantismo e presunzione. Dinanzi
alle emergenze non c'è tempo da perdere: o coesione nazionale a 360 gradi o la
parola al popolo. Con il Consultellum
l rifiuto della parola guerra, dinanzi a quanto è accaduto a Parigi, quasi che
il suono sia causa di sciagure, è perfetto simbolo della cultura e del
sistema di governo della sinistra. Rappresenta il culmine tragico della distanza
ideologica e pratica tra la sinistra intellettuale e di governo, e la realtà.
Ridurre la questione a episodio di terrorismo, senza alzare gli
occhi sugli accadimenti del mondo, è cecità criminale, perché ci disarma, ci
chiede calma, dice che è un fenomeno di scalmanati, e tutto-è-sotto-controllo,
quando la radiografia del mondo dice “cancro” (è una parola usata persino da Obama). E il cancro assalta
l'intero organismo, esige chirurgia e chemioterapia dolorosa, impone
prevenzione e stili di vita congrui. Non è un sasso tirato da un cavalcavia da
quattro stupidotti.Tutto questo sarebbe qualcosa cui guarderemmo con pena e
persino compassione se fosse un problema loro, della classe dirigente e
dell’establishment della sinistra italiana. Il fatto è che costoro hanno in
mano le leve del comando.
E
questo rifiuto di guardare le cose come sono, di dare il nome giusto dei
problemi, determina l'impossibilità di individuare e scegliere una soluzione
incisiva, e trascina il nostro Paese in una tragedia globale.
Si
badi, a proposito di Islam,
non si tratta qui di analizzare una religione e i suoi precetti, ma di
osservare i fenomeni che al Corano si riferiscono. C'è una guerra
totalitaria. L'Islam
ha uno Stato, ha un esercito, ed ha quinte colonne armate e pronte a tutto
dovunque: anche tra noi. Il problema non è di convivere con milioni di
musulmani in Occidente, ma di sopravvivere a una minaccia totalitaria. Questo esige politica
estera, politiche di sicurezza, discorsi sull’immigrazione e sull’integrazione,
che tengano conto di quel fattore devastante che non è teorico, ma operativo.
Ebbene
su questi punti, il governo si esercita in parole consolatorie e generiche, non ha preso
nessuna decisione operativa.
Questo
è un governo di sinistra, ci verrebbe da dire, e questa è la sinistra. Questa è la sinistra
italiana! Figlia di comunismo e cattocomunismo, cinica da una
parte e buonista dall'altra per consolidare i propri assetti di potere e i
propri dogmi post-sovietici. Non è solo questa la sinistra nel mondo. Lo
sappiamo. Abbiamo in mente Blair. E vediamo come la sinistra tedesca abbia
accettato di guardare la realtà e abbia accettato di partecipare alla “Grosse
Koalition”
con la Cdu-Csu. Ma da noi? Da noi la sinistra governa disastrosamente.
Partiamo
anche solo dal 2013. La sua egemonia è stata sancita da un premio di
maggioranza che fa sì che essa abbia uno strapotere sulla base di un consenso
gonfiato come il dirigibile Zeppelin. E sappiamo tutti che fine ha fatto quella sorta
di mongolfiera: morti tutti, ma chi c'era aveva voluto salirci. Questo Zeppelin
italiano ha fatto salire a forza tutto il Paese. Questo impone di coinvolgere
nella scelta della rotta e dei piloti dinanzi ad emergenze dove c'è in ballo il
destino, la massima rappresentanza possibile degli italiani. E se no, se non
accettano: elezioni.
Elezioni così che gli italiani scelgano. Subito. Vuol dire
Consultellum? Cioè proporzionale. A quel punto se gli italiani vogliono la
coesione nazionale sarà obbligata.
Non
c'è bisogno di essere analisti raffinati per concordare con la linearità e il
buon senso della nostra proposta a due corni.
Nel
2013 la sinistra ha cercato la strada temeraria dell'accordo con i grillini,
facendo una figura oscena, e distruggendo la possibilità di un accordo sereno e
organico di coesione nazionale. Bruciato Bersani si apriva la
prospettiva di un percorso salubre. Con tre contenuti non separabili l'uno
dall'altro. Pacificazione come fiducia e stima reciproca, condizione per la
riforma istituzionale e per quelle nel campo dell'economia, che negando il rigore
cieco e con una riforma fiscale radicale dessero una spinta determinante allo
sviluppo.
Letta e
il Pd hanno distrutto il basamento di una qualsiasi coesione nazionale, con il concorso della
magistratura politicizzata, dichiarando il “Game over” per Berlusconi e così sostituendosi al
popolo sovrano.
Chi
è venuto dopo, Matteo Renzi, che pure aveva coniato quella frase da campioncino di
flipper, ha proposto un metodo straordinariamente promettente per raggiungere
il primario obiettivo della pacificazione democratica, così da intraprendere
percorsi di collaborazione, pur nella distinzione di maggioranza e opposizione.
Promesse
mancate.
Ha imbottigliato il Parlamento nella discussione faticosa di due riforme
progressivamente sempre più indigeribile (legge elettorale, bicameralismo
paritario e Titolo V), e sul resto esibendo una povertà di
competenze e un verbalismo indecente in paragone ai risultati (vedi semestre europeo).
In politica estera? Zero al quadrato. Renzi-Mogherini-Gentiloni
rappresentano
una triade incapace di spostare di un solo millimetro le posizioni europee sul
concerto internazionale, e la questione dell'immigrazione.
In economia? I dati macroeconomici sono una sentenza di fallimento, costringerebbero alle
dimissioni per confessata incompetenza qualsiasi governo sulla faccia della
terra. Li riproduciamo per spirito di servizio. C'era la possibilità di una
applicazione delle deleghe fiscali rivoluzionaria. Il risultato modesto è
oltretutto stato congelato per la sindrome antiberlusconiana.
E sul Jobs Act? Doveva essere applicato sia pure asfittico e
tubercolotico il primo di gennaio. Niente.
Non
è un caso che i consensi di Renzi e del governo siano in crollo, come certificato da Swg e da tutti i sondaggisti.
Dunque:
coesione
nazionale su basi nuove e a 360 gradi o elezioni. E non con il discutibile
strumento che si sta votando al Senato. Lo ha dimostrato in maniera
incontrovertibile Angelo Panebianco (nell'editoriale che riproduciamo). Consegnerebbe
l'Italia ad un monopartitismo da Ddr, con tanti partiti e senza un'unica
opposizione. Inoltre con l'abrogazione del finanziamento pubblico e la
demonizzazione e l'impraticabilità di un sostegno privato, con la contemporanea
inclusione delle preferenze e di una legge sul voto di scambio severissima, si
finirebbe per consegnare alle procure i risultati delle elezioni. Un risultato
che è quanto di più lontano da una democrazia occidentale. E per quanto
riguarda la riforma di Senato e autonomie locali, valga la bocciatura pressoché
unanime di qualsiasi giurista e costituzionalista interpellato.
Dopo di che, ci viene da dire: non c'è tempo
da perdere. Tito Livio scriveva
che “mentre a Roma si discute, Sagunto viene
espugnata” (Tito Livio, Storie, XXI, 7, 1) ma Sagunto
stavolta è molto vicina a Roma, forse anzi è già dentro Roma.
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