di Cristiano Gatti. La casta appare al popolo italiano arrogante e spudorata, ma evidentemente qualcuno, là dentro, deve nutrire insostenibili sensi di colpa. Soltanto così si spiegano i saltuari annunci di questa o quella personalità, che ad un certo punto della propria carriera decide di «dare un segnale»: sono pronto a dare l’esempio, fatemi pure i conti in tasca perché non ho niente da nascondere, sono nella casta però sono casto. A poche ore dalla chiusura d’agosto, un annuncio clamoroso. Il presidente Napolitano rinuncerà agli aumenti che gli spettano per contratto fino alla fine del mandato, nel 2013. In aggiunta, il capo dello Stato fa sapere che grazie a una gestione rigorosa il bilancio del Quirinale risparmia 56 milioni nel periodo 2006-2011. Appresa questa notizia, dovremmo sentirci tutti sollevati. Come spiegano alcuni cittadini sui vari blog, «sono segnali importanti, se non altro esprimono la volontà di invertire la rotta», «Napolitano vuole smuovere le coscienze», «sarà poco, ma meglio che nulla». Cerchiamo di non confonderci: come nazione siamo tendenzialmente abituati a subire e a digerire di tutto, magari mugugnando in sede privata, però c’è un limite. Però non abbiamo l’anello al naso. Sentitamente la collettività ringrazia il presidente Napolitano per il gesto, ma è chiaro che tale resta. Un gesto, punto. Abituati alla finanza faraonica della casta, sappiamo bene che cosa sia un vero taglio e un vero risparmio, il vero rigore e la vera trasparenza. Li aspettiamo da una vita, quando sono reali li riconosciamo al volo. Presidente Napolitano, senza offesa: come un succulento assist, la sua stoica rinuncia agli aumenti permette facilmente a quella carogna di «Spider Truman», il blogger flagellatore
della casta, di quantificare che lei in realtà rinuncia «a 68 euro mensili» (Perfida chiosa: «Gli restano comunque all’incirca 12mila euro»). Quanto al risparmio di 56 milioni negli ultimi anni, è certo positivo: ma come dimenticare che la dotazione del Quirinale resta pur sempre di 228 milioni, contro i 112 dell’Eliseo e i 43 di Buckingham Palace, dica lei, come dimenticare… Viviamo una totale divaricazione sociale: noi continuiamo ad accumulare rancori e livori contro la casta, la casta continua ineffabile ad accumulare. Poi, quasi a volerci lisciare il pelo, ciclicamente salta fuori un politico a renderci conto per filo e per segno dei suoi averi, pubblicando sulla pubblica piazza (virtuale) l’ammontare del proprio rispettabile e immacolato patrimonio, voce per voce, euro per euro. Dovremmo acclamarli e coprirli di gratitudine, questi martiti della trasparenza. Ma grazie all’opera indefessa dei grandi giornalisti d’inchiesta – il nostro Mario Giordano, Stella e Rizzo del Corriere, tanto per citare i più forti – tutti noi siamo al corrente di quanti e quali «segnali» l’Italia abbia davvero bisogno: a partire dalle istituzioni centrali, per scendere fino agli uffici periferici degli enti locali e del parastato. Di sapere quanto l’onorevole Dagoberto e chiunque altro dichiarino, sinceramente, importa veramente poco, anche perché sappiamo bene come un sacco di bella gente accantoni fortune ingenti, le fortune vere, alla faccia del fisco e della trasparenza. E comunque c’è un’altra faccenda, sempre stranamente sottovalutata: la casta costa troppo anche perché la sua efficienza non è proporzionale ai costi, il che alla fine significa odiarla due volte. Presidente, si tenga pure i 68 euro d’aumento. Lei resta comunque un buon presidente. Però, per favore, non ci sottovaluti. Conosciamo l’entità del problema: l’Italia non ha bisogno di simpatici lifting, ma di brutali amputazioni. Il resto è patetica propaganda. Il Giornale, 31 luglio 2011
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