BERLUSCONI DELUDE LE INVOCAZIONI DI AMATO, CAPALDO E ABETE.
Strano ma vero. Il partito dei capitalisti “patrimonialisti”, sconfitto dal capitalista Silvio Berlusconi, ora fa appello alla Svizzera. Anche se in una maniera che probabilmente non solleverà l’interesse di frau Eveline Widmer-Schlumpf, il neo ministro delle Finanze di Berna che nell’ultimo mese ha concluso un accordo fiscale sia con la Germania che con il Regno Unito. Facciamolo anche noi, ha detto ieri la capogruppo del Pd in Senato, Anna Finocchiaro. Anzi, portiamoci avanti: prima tassiamo i capitali scudati, poi facciamo una bella convenzione fiscale con la Confederazione elvetica che preveda l’obbligo per gli italiani di dichiarare i conti in Svizzera. Peccato che le convenzioni con Berlino e Londra prevedano l’esatto opposto. In sostanza il fisco tedesco, così come quello inglese, si accontenta di ricevere un pagamento forfettario dalla Svizzera per i conti correnti dei suoi cittadini che hanno scelto Ubs piuttosto che il Credit Suisse. Il fisco così incassa, seppur con lo sconto, soldi che non avrebbe visto. In cambio, viene riconosciuto il segreto bancario della Confederazione ormai area proibita per gli 007 delle Finanze tedesche o inglesi. Proprio quel che Giulio Tremonti non vuole. E, probabilmente, nemmeno la senatrice Finocchiaro. Ma la febbre da patrimoniale può giocare brutti scherzi. Da mesi, lo spettro della tassazione dei grandi patrimoni sembra la panacea di ogni male della Repubblica oberata dai debiti. Una botta secca da 30 mila euro cadauno per i 30 mila italiani più fortunati, esordì l’ex premier Giuliano Amato. Ma non chiamatela patrimoniale, semmai “una tassa sulla ricchezza”, anzi, sull’ostentazione della ricchezza che fa tanto plebeo. “Non mi interessa tassare la proprietà dello yacht, ma chi lo usa dimostrando la propria opulenza”, spiegò nel corso di “Ballarò” il dottor Sottile. Ancor più sofisticato fu l’ex banchiere Pellegrino Capaldo, che consigliò un’imposta sugli incrementi di valore (non osteggiata dai grandi immobiliaristi, si mormora). Più spiccio Luigi Abete, presidente di Assonime e di Bnl: basta l’uno per mille sulla ricchezza italiana “per raccogliere nove miliardi all’anno”.
Buona parte di questa ricchezza è in mattoni, che di questi tempi non brillano per redditività. Ma che importa? Dagli al “grande patrimonio”. Ma “grande” quanto? Un emendamento alla manovra presentato ieri dal Pd prevede un prelievo dello 0,5 per cento sugli immobili da 1,2 milioni a 1,7 milioni; dello 0,8 per cento oltre questa soglia. Roba che può colpire il proprietario di un appartamento a Milano e Roma più, forse, una seconda casa, mica uno sceicco o un ricco, così come lo considera Luca di Montezemolo. Già, l’ultimo pasdaran della patrimoniale è il presidente della Ferrari: ci vuole – ha detto di recente – una tassa dello 0,5 per cento sulle fortune superiori ai 10 milioni di euro, con l’eccezione delle aziende non quotate, quelle dei tanti signori Brambilla di Veneto e Lombardia che vanno esentati, perché questa è una tassa che deve colpire chi viaggia in Ferrari o frequenta il Billionaire. Mica chi tira di lima nella fabbrichetta e il lunedì va a Lugano solo per comprare una stecca di Toblerone. Insomma, logica economica e lezioni di etica del capitalismo marciano in simbiosi nell’immaginario dell’imprenditoria illuminata. Un binomio irresistibile, capace di sfondare le resistibili perplessità di Emma Marcegaglia che prima ha criticato la proposta del suo predecessore, Luca Cordero di Montezemolo, e poi l’ha di fatto sposata dichiarando che “sarebbe meno iniqua, se necessaria, un’imposta progressiva sui grandi patrimoni immobiliari”. E che dire del finanziere Carlo De Benedetti così legato alla seconda patria elvetica? O di Sergio Marchionne che (giustamente) ben si guarda dal rinunciare alla residenza fiscale di Zug eletta quand’era nulla più che un emigrante di lusso? A molti viene il sospetto che la patrimoniale sia più un’icona ideologica da agitare nei momenti più tosti, che non una misura di politica economica, nonostante le sollecitazioni arrivate anche ieri dall’ex presidente dei Giovani di Confindustria, Anna Maria Artoni. Non solo da noi, se si pensa che madame Liliane Bettencourt, propietaria di mezza L’Oréal, chiede oggi di esser tassata dopo anni di clamorosa elusione fiscale verso la Svizzera. Comunque la moda spopola: ora il fronte dei paperoni benefattori della patria, o masochisti, dipende dai punti di vista, si allarga a un gruppo di 50 super-ricchi tedeschi che si sono rivolti pubblicamente alla cancelliera Merkel perché venga ridotta la distanza tra poveri e miliardari. Secondo i calcoli del gruppo, se i più ricchi versassero una tassa del 5 per cento sul proprio patrimonio per due anni la Germania potrebbe ricavare 100 miliardi di euro. Di Ugo Bertone - FOGLIO QUOTIDIANO
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