I referendum servono alle
minoranze sconfitte in Parlamento o alle maggioranza inascoltate degli
elettori. Quando se ne impadroniscono i governi diventano plebisciti, che della
democrazia conservano la forma, l’inserire la scheda nell’urna, ma ne divengono
la parodia. Qualche volta rivoltandosi contro chi li usa per altri fini. Con
questo fuoco scherzano i governi inglese e italiano.
Nei sistemi in cui esistono i referendum propositivi (da noi no), servono a chi crede d’essere maggioranza nel Paese, ma continua a non vedere approvate leggi che ritiene utili. Allora convoca i propri pari, seguendo la procedura prevista, e propone loro di fare quel che il legislatore non sa o non vuol fare. Dove, come da noi, i referendum sono abrogativi, servono a cancellare leggi che il Parlamento ha approvato o non sa eliminare. Chi ritiene che i contrari a quella norma siano maggioranza nel Paese convoca i propri pari e propone loro di abrogarla. Da noi esiste l’eccezione del referendum confermativo, che consente di sottoporre a verifica le riforme costituzionali. Anche in questo caso c’è una procedura da rispettare (qui non ce ne occupiamo), ma anche in questo caso lo strumento serve a chi è contrario, altrimenti che convoca a fare gli altri cittadini? In Scozia ebbe senso che i secessionisti abbiano convocato un referendum popolare per separarsi dal Regno Unito. Lo hanno perso, ma il quesito era sensato. L’opposto, invece, sarebbe stato insensato: volete voi restare uniti al Regno, lasciando le cose come stanno? Che domanda fessa: basta non porsela e si ottiene la risposta. Ora David Cameron si trova alle prese con una simile fesseria: vuole restare nell’Unione europea, sa che uscire sarebbe un danno enorme, per gli inglesi, ha vinto le elezioni e dispone della maggioranza parlamentare, ma oramai ha detto che il referendum si deve fare e ne è rimasto prigioniero. Un trionfo democratico?
Nei sistemi in cui esistono i referendum propositivi (da noi no), servono a chi crede d’essere maggioranza nel Paese, ma continua a non vedere approvate leggi che ritiene utili. Allora convoca i propri pari, seguendo la procedura prevista, e propone loro di fare quel che il legislatore non sa o non vuol fare. Dove, come da noi, i referendum sono abrogativi, servono a cancellare leggi che il Parlamento ha approvato o non sa eliminare. Chi ritiene che i contrari a quella norma siano maggioranza nel Paese convoca i propri pari e propone loro di abrogarla. Da noi esiste l’eccezione del referendum confermativo, che consente di sottoporre a verifica le riforme costituzionali. Anche in questo caso c’è una procedura da rispettare (qui non ce ne occupiamo), ma anche in questo caso lo strumento serve a chi è contrario, altrimenti che convoca a fare gli altri cittadini? In Scozia ebbe senso che i secessionisti abbiano convocato un referendum popolare per separarsi dal Regno Unito. Lo hanno perso, ma il quesito era sensato. L’opposto, invece, sarebbe stato insensato: volete voi restare uniti al Regno, lasciando le cose come stanno? Che domanda fessa: basta non porsela e si ottiene la risposta. Ora David Cameron si trova alle prese con una simile fesseria: vuole restare nell’Unione europea, sa che uscire sarebbe un danno enorme, per gli inglesi, ha vinto le elezioni e dispone della maggioranza parlamentare, ma oramai ha detto che il referendum si deve fare e ne è rimasto prigioniero. Un trionfo democratico?
L’opposto: un fallimento
democratico. La democrazia si basa sul potere delegato, altrimenti sarebbe
assemblearismo. Può chiamarmi al referendum chi è contro i vincitori e le tesi
prevalenti, non chi li guida ed elabora quelle tesi. Cameron lo fece per raccogliere un vantaggio
elettorale, soffiando sul fuoco dei conti fatti a cappero e dei presunti
svantaggi europei (se oltre agli europei che si ammalano se ne vanno quelli che
colà pagano le tasse, senza nulla volere se non evitare di pagarle a casa
propria, voglio vedere come gli tornano i conti). Solo che, ora, quel fuoco gli
lambisce le terga. Sicché lo spinge a compromessi non molto significativi: se
Uk vorrà limitare il welfare a favore degli altri europei potrà farlo, con il
consenso degli altri. Che razza di “conquista” è? Non aderirà né all’euro né a
Schengen. Bravi, già adesso non aderiscono, quindi non cambia nulla. Solo che,
una volta incassato il dividendo elettorale e messa in moto la macchina
referendaria, non sanno più come fermarla, così che si verifica la peggiore
delle trappole democratiche: la classe dirigente, finanziaria e politica, che
teme di non sapere spiegare al popolo il perché delle scelte fatte e che si
chiede di confermare. Mentre il bancarellaro di Cambridge si vede circondato da
stranieri e un filo s’arrabbia, a dovere abbassare i prezzi. Da noi l’uguale:
si fa passare una riforma costituzionale, il cui valore (negativo, non mi stanco di avvertire: quella roba è pericolosa) si
chiarisce leggendola assieme al nuovo sistema elettorale, poi si vuole che il
popolo si rechi alle urne confermando la prima, ma non avendo voce in capitolo
sul secondo. L’obiettivo è il plebiscito. L’anticamera del voto politico, che
eseguito con le nuove regole, porterà al monocolore. Una lama a doppio taglio,
con la quale ci si sfregia inseguendo il trionfo, ma anche lasciando che in
molti siano tentati dal tonfo. Perché, alla fine, non si vota pro o contro l’Ue
o pro o contro la riforma, ma per elevare o affossare il furbo che s’è fatto
venire in mente l’ida di approfittare del plebiscito. Né stupisce che chi ha il
potere voglia comunque conservarlo, ma, come diceva bene Petrolini, infastidito
da un loggionista rumoroso: non ce l’ho co’ te, perché così ce sei nato, ce
l’ho con quello che te sta accanto e nun te butta de sotto. Davide Giacalone
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